Joker: Folie à Deux… è il film dell’anno?

L’attesa finalmente è finita, dopo quasi 5 anni torna in sala il personaggio di Arthur Fleck/Joker, in un sequel che nelle intenzioni del regista Todd Phillips non era nemmeno previsto. Complice il successo planetario, i premi vinti e soprattutto il richiamo di facili incassi al botteghino.

Un seguito rischiosissimo anche per la scelta, originale ma controversa, di virare verso altri generi, in particolare il musical, che a molti ha fatto storcere il naso ben prima della sua visione. Lo diciamo subito, il film merita di essere visto e non badare a coloro che hanno espresso un giudizio negativo. Nelle prossime righe tenteremo di rispondere al quesito: è il film dell’anno?

Si riparte da dove era finito il primo film… Joker recluso in manicomio.

La trasformazione fisica di Joaquin Phoenix nel personaggio è maniacale, quasi inquietante.

Il film inizia con un prologo animato, dove si sintetizzano gli ultimi eventi del primo capitolo e dichiara fin da subito che il protagonista è scisso in due personalità ben distinte: lo sfigato Arthur Fleck e l’antieroe Joker.

La lotta non è contro la società o contro qualcuno, ma contro la sua stessa ombra o meglio, lato oscuro. Il tema del doppio pervade tutto il film. E nonostante si possa pensare che il personaggio non evolva durante lo scorrere del tempo, in realtà egli stesso arriverà perfino a negare l’esistenza del Joker.

Terminato il breve filmato, siamo subito proiettati nell’atmosfera cupa e lugubre del manicomio di Arkham, dove il nostro eroe è recluso in attesa di giudizio. È un’ameba, non parla se non per chiedere una sigaretta, è emaciato ed il suo fisico porta i segni dell’anoressia. Le guardie della struttura sono degli aguzzini, sempre pronte a dileggiare i detenuti e percuoterli appena ne hanno occasione.

L’incontro con la femme fatale… Lady Quinn

Come non innamorarsi di una psicopatica incontrata nell’ora di musica?!

La grande novità di questo sequel è la presenza di Lady Gaga che interpreta Harley Quinn. La scelta di scritturare una icona pop è parsa azzeccata, poiché per duettare con un mostro di bravura come Joaquin Phoenix c’era bisogno di un personaggio “forte”, capace, nei limiti del possibile, di non “soccombere” nel confronto con uno dei migliori attori oggi in circolazione. Ovviamente Lady Gaga ha un suo ampio seguito e l’idea di renderla co-protagonista è una grande operazione di marketing: molti andranno a vedere il film solo per lei!

Harley Quinn inizialmente sembra soltanto una ragazza con qualche disturbo psicologico che è morbosamente curiosa nel voler conoscere Joker e non Arthur Fleck!

Un particolare che avrà ripercussioni sul resto della trama. Arthur non riesce a resistere al fascino della ragazza e quasi subito se ne innamora. Ma è un uomo disturbato, fragile, che probabilmente non ha mai conosciuto carnalmente una donna (come ricordava sua madre quando parlava di lui).

Si scoprirà poi nel corso del racconto che lei non è ciò che dice di essere: si presenta al protagonista come una persona che ha avuto i suoi stessi traumi, ma l’avvocato di Arthur gli rivela che in realtà lei è una privilegiata che vive nel quartiere bene della città e che entra ed esce quando vuole dal manicomio, dove si è fatta internare (a tempo) solo per poter conoscere la sua ossessione di nome Joker.

Da prison movie a legal thriller… si fluttua tra vari generi

Uno dei prossimi meme di successo sui social…

Dalla prigione/manicomio ci spostiamo all’aula di tribunale dove Arthur deve essere giudicato per gli omicidi commessi nel primo film. In aula avviene il conflitto tra le sue due personalità. Se inizialmente prevale il remissivo e sfigato Arthur Fleck, anche per la strategia del suo avvocato che cerca in tutti i modi di dimostrare come Joker sia la sua ombra malvagia e che lui non era in sè quando compì quegli errori, mano a mano che il processo va avanti sembra prevalere la figura di Joker.

Ciò è dovuto al fatto che la stessa Harley Quinn sprona Arthur ad essere la sua maschera. Lei è attratta dal fascino ribelle e violento di Joker e non certo dall’uomo fragile che quel trucco da pagliaccio sulla faccia nasconde. Ciò avrà conseguenze devastanti sulla psiche di Arthur, incapace di seppellirsi completamente a favore della sua parte più folle e violenta. Il finale del processo e del film, di cui non spoileriamo nulla, non farà altro che lasciarci l’amaro in bocca per quello che poteva essere la sua vita se quest’ultima non avesse fatto altro che maltrattarlo e prenderlo in giro.

Il film mescola e si serve, dunque, di vari generi cinematografici risultando più variegato del primo capitolo della storia. Oltre al prison movie ed al legal thriller, infatti c’è anche un pizzico di commedia romantico/drammatica, ma soprattutto una componente musicale il cui ampio spazio ha fatto etichettare il film come un musical.

Non sembra il caso di dare un giudizio così netto, poiché è semplicemente un film recitato con degli stacchi musicali che non servono a rasserenare l’atmosfera bensì accrescono l senso di angoscia dello spettatore nonché dar vita alle fantasie spesso deliranti di Arthur Fleck/Joker.

La solitudine di un uomo prigioniero dei suoi demoni

La risata straziante che ha reso celebre il personaggio di Joker.

Arthur è solo e lo è dall’inizio alla fine del film. Il fatto che vicino a lui ci sia ora una donna (forse) innamorata non deve ingannare: tale presenza sarà l’ennesima beffa per il personaggio.

Molti spettatori, vedendo questo sequel, hanno criticato come il personaggio sia uguale al primo film e non aggiunga altro a quanto già raccontato. La realtà è però ben diversa. Effettivamente è sempre fisicamente esile, si muove spesso in modo disarticolato ed ha spesso attacchi di quella risata isterica e straziante che ha reso iconica tale interpretazione.

Nel primo film il percorso del personaggio andava dall’essere una persona sfigata e con diversi problemi psicologici, ma tutto sommato “normale” (anche se con una vita triste e meschina), ad un rivoltoso che incita alla sommossa chi è emarginato come lui e che vive un momento di gloria (fuori e dentro la televisione che tanto ha bramato).

Qui invece si compie il percorso opposto. Da Arthur torniamo ad avere Joker e poi sul più bello il protagonista dice apertamente “There is no Joker“. Ha sostanzialmente mollato la sua ombra, lui non è (più) Joker, non può esserlo veramente, come si aspetterebbe la stessa Harley Quinn.

Se nel primo film poteva essere compreso (ma non giustificato) per l’esplosione di rabbia che aveva avuto, in questo sequel non si può far altro che compatirlo. Ecco dunque il perché tantissimi fan del primo film stanno rifiutando questo seguito: non si ritrovano più nel personaggio e avrebbero voluto stoccate populiste anti società dei poteri forti, invettive contro le caste. Insomma, un trionfo finale del protagonista.

Essi sono diventati più Joker di Joker stesso. Invasati a tal punto da aver fatto diventare meta di pellegrinaggio la zona di Highbridge, nel Bronx, dove si trova la celebre scalinata della iconica danza di Joker, e che ritroviamo anche nel secondo film quando lui e Harley Quinn si re-incontrano (ma non balleranno sugli scalini).

Questo sequel è uno schiaffo in faccia a tutti quelli che hanno eretto a mito qualcuno che non lo è, che non vuole e non può esserlo, schiacciato dalla sua fragilità e dal suo dolore. Un uomo che è stato irriso persino da sua madre che beffardamente lo chiamava “happy” e che gli ha fatto credere di essere venuto al mondo per portare gioia alle persone. Un clown triste che non fa ridere e che racconta barzellette insulse per avere una sigaretta in più. E dunque chi sognava la sua gloria ne rimarrà profondamente deluso.

Il più improbabile degli avvocati… ma comunque più bravo di Lionel Hutz dei Simpson!

Funziona tutto, ma…

Lo abbiamo detto, non è lo stesso film e non è lo stesso personaggio del primo Joker. Addirittura non si cita nemmeno più Batman e Gotham è ormai New York a tutti gli effetti. Se non lo avessero chiamato Joker sarebbe cambiato ben poco. Ormai la storia ha decisamente deviato dall’essere un mero spin-off dell’epopea dell’uomo pipistrello.

Diciamo subito che il film non è ai livelli del primo, ma era francamente impossibile chiedere di più a questo sequel. Ciò è dovuto al fatto che si è perso l’effetto novità. Nonostante ci sia una forte componente femminile come aspetto innovativo, non basta a stupire lo spettatore.

Intendiamoci però, questa seconda opera è notevole per tanti aspetti: dall’interpretazione dei protagonisti (se Phoenix vincesse di nuovo l’Oscar non ruberebbe nulla a nessuno), alla fotografia, senza dimenticare le musiche e le canzoni, che solo all’ultimo appesantiscono lo scorrere della trama. Non è un caso che lo stesso Arthur Fleck dirà a Lady Gaga di smetterla di cantare quando quest’ultima incomincerà una strofa di una nuova canzone.

Le citazioni poi presenti nel film rendono omaggio a diversi film, non soltanto musical, (come Band Wagon con Fred Astaire che è addirittura trasmesso nella TV del manicomio), passando per Qualcuno volò sul nido del cuculo, oppure della “coppia felice” che erano Sonny e Cher. “Diamo al pubblico ciò che vuole!” dice Harley Quinn a Joker durante un suo trip mentale… ma siamo sicuri che ciò che vuole il pubblico sia la cosa giusta? Il regista Todd Phillips ha sfidato apertamente gli spettatori perché non si è piegato ad uno sterile remake del primo film: ha osato andare al di là delle categorie creando un ibrido con tutti i limiti che comporta aver realizzato qualcosa di non definibile e non afferrabile.

Una delle fantasie di Arthur Fleck.

E poi è un’opera dannatamente attuale. Le conseguenze del post pandemia sono ancora presenti nella nostra società, su tutte il disagio mentale e la rabbia sempre più profonda del ceto medio (e popolare). Siamo una società dove si preferisce indossare maschere o creare realtà virtuali per sfuggire alle nostre vite che sono troppo poco per quello a cui vorremmo aspirare. Il personaggio di Phoenix alla fine quella maschera se la toglie, ed una delle scene più emblematiche in tal senso è quando vedendo un dimostrante vestito come Joker cerca di fuggire da lui, nonostante quello lo rassicuri e lo voglia aiutare.

Il protagonista faccia a faccia con la sua ombra.

I disturbi mentali, specie tra gli adolescenti, sono sempre più una costante, e spesso non sono adeguatamente curati. Arthur Fleck viene proprio emarginato dalla collettività. E pensare che sarebbe bastano poco per non farlo diventare ciò che è.

Nel primo film il taglio dei fondi non gli consentirà più di essere seguito dal suo psicologo (della mutua diremmo nel nostro Paese), mentre nel secondo è semplicemente un rifiuto e come tale va trattato e dunque giù percosse ed abusi, ma più è colpito più ride incattivendo ancora di più i suoi carnefici. La rabbia della popolazione, che incita Joker fuori dal tribunale, è la stessa dell’assalto a Capital Hill a seguito della sconfitta di Trump. La gente intorno a noi è sempre più cattiva, maleducata, incivile e socialmente invidiosa.

Un mix pronto ad esplodere e le democrazie occidentali ne soffrono al punto che la politica si sta sempre più radicalizzando. Tutto questo era ben poco sottotraccia nel primo lungometraggio e lo è anche nel secondo. Solo che in questo sequel al protagonista non resta che rifugiarsi in un mondo parallelo irreale e fantastico, fatto di show musicali e di pubblico che applaude, poiché nella realtà che lo circonda potrebbe farcela solo se fosse come Joker, ma ormai la maschera è caduta e lui è “nudo” in balia in primis proprio di sé stesso.

Uno sguardo che ci racconta di tutta la sofferenza e la solitudine del protagonista.
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