Da anni ormai la “chiacchiera” attorno ai prodotti targati MCU è ammantata da una patina negativa. Prodotti malcurati, pigri e privi di direzione, dal grande al piccolo schermo. Eredi meno carismatici dei grandi protagonisti del passato e l’assenza di un disegno che veicoli la grande narrazione dell’universo condiviso lasciano un vuoto in una delle saghe più amate dello scorso decennio.
A riempire questo vuoto, quasi in maniera metanarrativa, arriva Thunderbolts*, 36eiesima pellicola targata Marvel Studios. Un prodotto fresco, originale, con una forte identità e che, dopo tanto tempo, torna finalmente a raccontare.

Thunderbolts* è una storia di riscatto: il film riunisce alcuni personaggi secondari del MCU, molti dei quali sono stati i villain dei prodotti in cui sono apparsi, e li utilizza per creare un fortuito gruppo di protettori. Ciò che accumuna tali personaggi è non solo la loro natura di outsiders, ma la loro difficoltà a convivere con il proprio passato e il proprio lato oscuro, cosa che genera in essi un grande e incolmabile “vuoto“.
Il personaggio di Sentry, che fa il suo debutto sul grande schermo in questo film, è una perfetta sintesi del messaggio che il racconto vuole veicolare. In costante conflitto con il suo personale vuoto, Bob è un personaggio positivo e spesso divertente, incarnazione della bontà cieca e ingenua, che lotta per non soccombere all’ombra malvagia generata dai suoi traumi e dal suo passato.

Allo stesso modo, Yelena (Florence Pugh), vera protagonista del film, è inseguita da una storia tormentata, dai traumi infantili legati all’addestramento della Vedova Nera, dalla mancanza di una vocazione e dalla necessità di trovare il proprio posto in una vita piena di errori. Parallelamente, lo stesso concetto si sviluppa (seppur con un’attenzione decisamente minore) attraverso i personaggi di John Walker a.k.a. U.S. Agent, Red Guardian e Ava a.k.a. Ghost.
Quasi tutti ex-villain che lottano con una coscienza tormentata, e che nel corso del loro viaggio impareranno che il tempo di fare una scelta giusta non è mai troppo tardi. Non è un caso che a guidarli in questa direzione sia Bucky Barnes (Sebastian Stan), un uomo che ha già fatto i conti con il proprio passato e i propri sensi di colpa, ma che conosce l’importanza e la possibilità della redenzione.

Ad arricchire e potenziare la morale del film è la scelta di fotografia, per lo più sui toni del grigio nelle scene ambientate a New York, salvo, giustamente, nella sequenza finale. A simboleggiare il vuoto narrato dal film, vuoto interiore dei personaggi, e forse anche quel vuoto che ha lasciato l’assenza degli Avengers nella diegesi della storia.
Ed ecco che in un film leggero e divertente, condito da simpatiche gag ed entusiasmanti scene d’azione, spiccano tematiche rilevanti e messaggi del calibro di: “non lasciare che i tuoi errori definiscano la persona che sei“. Dopo tanto tempo, abbiamo visto un film Marvel che racconta qualcosa, che unisce azione e narrazione come nei suoi tempi migliori, e che difficilmente lascerà il pubblico insoddisfatto. Anzi, forse molti lasceranno la sala con la voglia di rivedere questi personaggi.
In chiusura, vi raccomandiamo di non alzarvi fino alla fine dei titoli di coda. In primis perché i titoli di coda stessi riservano del contenuto metanarrativo interessante (le reazioni agli eventi del film di cui leggiamo si sposeranno facilmente con le reazioni del pubblico). In secondo luogo perché non mancheranno le sorprese.