Abbiamo visto in anteprima “The Watchers – Loro ti osservano”, horror scritto e diretto da Ishana Night Shyamalan e prodotto da M. Night Shyamalan. Il film è arrivato nelle sale italiane il 5 giugno grazie a Warner Bros Pictures.
The Watchers segna l’esordio alla regia di Ishana Night Shyamalan, figlia d’arte. A produrre il suo primo lungometraggio è il padre, pietra miliare del cinema horror americano, M. Night Shyamalan (Il sesto senso, The Village). Il film, tratto dal romanzo omonimo dell’autore irlandese A. M. Shine, inaugura la stagione estiva nelle sale cinematografiche, confermandosi come una delle novità più attese della stagione .
Il trauma pregresso
The Watchers non si perde in chiacchiere ed entra subito nel cuore dell’azione, con il ricorso a una intro che setta le tinte spaventose e sovrannaturali della storia: un uomo tenta di fuggire da inseguitori invisibili nel mezzo di una foresta. Un tentativo, che, ovviamente, fallisce miseramente, come dimostrano le sue grida disperate.
L’inizio della narrazione vera e propria ci svela le coordinate spaziali: siamo a Galway, Irlanda, dove la protagonista Mina (Dakota Fanning) lavora in un negozio di animali domestici. Il primo piano sullo sguardo assente e le manieristiche boccate di fumo vogliono subito sottolineare, in modo evidentemente forzato, il suo turbamento emotivo. Non è certo una novità, negli horror contemporanei (si pensi ad esempio a Midsommar), voler collegare trama e trauma, creando una concatenazione tra gli eventi del presente diegetico a quelli che hanno segnato il passato del protagonista. E The Watchers si affretta a farlo – e soprattutto a dirlo: Mina riceve il compito di portare un pappagallino a Belfast, e all’animale confida il suo trauma, usando questo espediente narrativo per spiegarlo, letteralmente, anche agli spettatori
Nel cuore della foresta, topos letterario per eccellenza
Per raggiungere Belfast, Mina si avventura nella stessa foresta della sequenza iniziale (sorpresa!), in cui il motore della macchina si rompe, il navigatore e il telefono smettono di funzionare, e l’eroina si ritrova sola, senza apparente via di fuga. È tutto costruito in modo troppo veloce e poco credibile, ma se accettiamo di sospendere l’incredulità e seguire Mina, ci ritroviamo insieme a lei nell’affascinante quanto accattivante mondo che racchiude la trama del film. ll topos della foresta, luogo oscuro e misterioso in cui si annidano pericoli e insidie, è uno dei più frequenti nella storia della narrativa. Come nella fiabe dei fratelli Grimm, il bosco è il luogo in cui si consuma un rito di iniziazione, in cui il bambino diventa adulto, e ad avventurarsi nei suoi meandri, in The Watchers, è una giovane donna che non ha superato un trauma legato alla sua infanzia.
La foresta è il regno delle Creature, gli Osservatori, appunto, esseri dalla forma alta e allungata, che lasciano vivere gli umani che vi si avventurano a patto che rispettino alcune regole: stare al chiuso prima del tramonto, rimanere sotto una fonte luminosa, e farsi osservare.
La ribellione all’autorità materna
“Seguire le regole” è una frase che ritorna in The Watchers. All’interno della foresta, esiste un rifugio, ribattezzato Il Covo, in cui vivono altre tre persone che sono rimaste imprigionate nella foresta: Madeline (Olwen Fouéré), Ciara (Georgina Campbell) e Daniel (Oliver Finnegan). Sotto la guida della prima, la più anziana del gruppo, nonché la più esperta, e attenendosi al codice non scritto della Foresta e delle creature, i quattro possono sopravvivere.
All’interno del microcosmo della foresta esiste quindi un doppio livello di autorità: il gradino più alto è occupato dalle creature, che dettano le regole, perché dalla loro volontà dipende la vita o la morte di chi si avventura nel loro territorio, ma, su un gradino più basso, si trova Madeline, la più anziana del gruppo, che, con la sua esperienza e la sua conoscenza, cerca di convincere i ragazzi a non spingersi fuori dal ‘sentiero battuto’ e non trasgredire le regole, in una sovrapposizione tra le sue regole e quelle della foresta. Infatti, nelle sue parole, la foresta causa allucinazioni e può portare alla follia: meglio rimanere al sicuro, all’interno di quello spazio circoscritto che determina la loro salvezza ma anche la loro prigionia, in un nucleo familiare matriarcale in cui Madeline ricopre il ruolo materno.
The Watchers: guardare ed essere guardati
All’interno della cabina, quello che si consuma ogni notte è un ibrido tra un reality show e uno spettacolo dal vivo, in cui i prigioneri della ‘Casa’ sono esposti agli occhi delle Creature – gli Osservatori, appunto – che li osservano dall’esterno proprio come gli spettatori di un format televisivo guardano i concorrenti. Ed è proprio un reality show quello che Mina e gli altri abitanti guardano in loop sull’apparecchio televisivo, in una scelta metacinematografica, che, seppur didascalica, enfatizza bene il doppio ruolo dello sguardo, la sovrapposizione tra guardare e essere guardati. Coloro che sono osservati sono consapevoli dello sguardo posato su di loro, e, per questo, assecondano il voyeurismo degli spettatori attraverso atti performativi volti a ottenere il consenso del pubblico.”Gli piace vedermi ballare” – afferma Ciara in una scena, prima di inziare a esibirsi in una coreografia, che viene coronata da un tripudio di rumori provenienti dall’esterno – gli applausi degli Osservatori. E la dicotomia tra guardare ed essere guardati viene estrinsecata nel momento in cui Mina recupera una videocamera di sorveglianza, e la collega al televisore, proprio per riuscire a osservare gli Osservatori, capovolgendo così la dinamica vigente. Ma la specularità delle due azioni è solo la rappresentazione visiva del concetto di fondo che costituisce il sostrato del film.
Folklore e mitologia
The Watchers, infatti, si configura progressivamente come un folk horror ispirato alle leggende e ai miti che popolano la cultura irlandese, in particolare quello delle Fate. Queste non sono, però, le creature leggiadre, alate e bellissime dell’immaginario collettivo, ma le Fae (o Faeries) della tradizione anglosassone, un popolo eterogeneo di creature di varia natura e aspetto. Secondo quanto raccontato da Madeline, professoressa di Storia, le Fate, che in tempi antichi vivevano in armonia con gli umani, furono poi rinchiuse sottoterra nelle foreste, da quando la loro unione con gli uomini portò alla nascita di creature ibride, i Mutaforma, in grado di assumere le sembianze degli esseri umani a proprio piacimento. Gli Osservatori, creature alte e allungate, che studiano gli umani per assumerne le sembianze, sono proprio quelle Fate che hanno ormai perso le ali, ridotte da secoli al confinamento nella foresta, nascoste sottoterra di giorno. La loro vendetta per il triste destino a cui gli uomini le hanno condannate è proprio quella di fare prigioniero chiunque si avventuri nel loro territorio, uccidendolo, se non rispetta le loro regole.
Il colonialismo dello sguardo
Anche se non direttamente, il messaggio che The Watchers trasmette chiama in causa proprio il colonialismo, l’esercizio di un potere suprematista volto a sottomettere e sfruttare, che in questo caso si maschera inizialmente da amore per la scienza e per la ricerca accademica. Figura emblematica ne è il Professore (John Lynch), lo studioso che si è trasferito nella foresta per portare avanti sul campo lo studio sulle Creature, di cui Mina e gli altri scoprono l’hangar costruito nelle fondamenta della cabina: la sua ricerca accademica si rivela un pretesto per portare avanti un esperimento crudele che non ha il solo obiettivo di ampliare la conoscenza ma di sottomettere le creature per un tornaconto personale, a discapito dell’incolumità e dell’equilibrio dell’ecosistema circostante. Il Professore si sottopone volontariamente allo sguardo delle creature, per studiarle a sua volta, in uno studio reciproco animato però da interessi e da obiettivi opposti, e derivanti da due diverse condizioni iniziali: da una parte la sua libertà di uomo, e dall’altra la condizione di prigionia delle creature, a cui l’uomo le ha ridotte. Il doppio ruolo dello sguardo diventa emblema della capacità di esercitare potere, dominio e controllo sul’altro, in una dinamica altalenante tra Fate e Umani.
The Watchers crea una metafora in chiave horror delle conseguenze a cui le azioni dell’uomo possono portare quando cerca di controllare la natura. A questa stessa tematica fa eco la voce della radio all’inizio del film, che riporta delle proteste contro il disboscamento estensivo delle foreste irlandesi, un altro riferimento a come l’uomo minacci l’equilibrio dell’ecosistema di cui fa parte.
Un finale forzato
Ma il finale di The Watchers vuole riportare l’attenzione su Mina e sul trauma mai superato. La narrazione la segue di nuovo nel mondo ordinario – al di fuori della foresta – da cui era stata risucchiata via all’inizio per condurla ad una resa dei conti con il suo passato, che si manifesta nel confronto/scontro finale con una Creatura che ha preso le sue sembianze.
Sebbene l’intento sia chiaro – e il ruolo dello specchio all’interno della cabina, l’immagine riflessa che però impedisce di guardare all’esterno, concorrevano già a segnalarlo – il voler arrivare ad una resa dei conti di Mina con se stessa piega la narrazione ad un plot twist forzato, che sembra voler trovare ad ogni costo un punto di unione tra due elementi della trama – il lutto di Mina e il suo senso di colpa e il rapporto tra Uomo e Natura – che altrimenti rimangono scollegati. Il discorso finale di Mina parla di cosa vuol dire essere umani, un pretesto per parlare del suo trauma e del suo possibile superamento.
The Watcher chiude il cerchio della storia lasciando un po’ con l’amaro in bocca per il suo potenziale sprecato, che poteva esprimersi al meglio se supportato da una regia e una sceneggiatura meno convenzionali, che avessero saputo svilupparli meglio. Ma il film ci lascia comunque dei buoni spunti di riflessione. E, naturalmente, di osservazione.