Le bande di motociclisti sono un fenomeno molto diffuso negli States, al punto che perfino Homer Simpson in una memorabile puntata decise di creare la sua “banda”. In Bikeriders però non ci sono i “Satanassi Infernali” bensì i Vandals, nome fittizio dell’Outlaws Motorcycle Club, protagonista del libro scritto da Danny Lyon che ha ispirato questo film che infatti ne riprende anche il titolo.
Il cinema statunitense e le moto sono un sodalizio da tempo e spesso hanno contribuito l’uno al successo delle altre e viceversa. Quando pensiamo alle strade americane ci viene subito in mente la Route 66 ed una Harley Davidson e dunque nulla di nuovo da questo punto di vista.
“Contro chi vi ribellate? Contro di voi!“
Così risponde Marlon Brando nel film “Il Selvaggio” del 1953. Così ripete Johnny mentre lo guarda in TV, (un Tom Hardy superbo persino nel recitare con un credibilissimo accento del midwest), che dal nulla crea e fa crescere un gruppo che si farà, nel corso della narrazione, sempre più numeroso ma anche più problematico.
La strada, il sole in faccia, il vento tra i capelli, l’odore del gas di scarico ed il rumore scoppiettante del motore… Tutto profuma di libertà quando si è in sella ad una moto e l’appartenere ad un gruppo rende più forti e determinati. “Andare in moto è associato a qualcosa di osceno“, così dice uno dei membri della banda: per la mentalità borghese che alberga nella comunità, questi gruppi non sono altro che un branco di individui senza legge e poco rispettabili e come tali vanno messi al bando. Ed emerge nei racconti che gli stessi membri fanno come essi si sentano rifiutati dalla società americana, così perbenista e piena di “fighetti” (come li chiama con disprezzo Zipco interpretato da Michael Shannon, uno che è sempre una garanzia quando si tratta di tratteggiare dei personaggi all’apparenza duri ma che poi si rivelano pieni di amarezza e malinconia).
Una donna al centro di una storia di uomini
Può un film così avere come narratore di tutta la storia una donna? Sì e ciò è uno dei colpi di genio della sceneggiatura. Kathy, infatti, (una Jodie Comer molto convincente), si innamora di Benny (interpretato da Austin Butler che esteticamente può ricordare niente meno che Brad Pitt da giovane! Il ragazzo farà strada nel mondo del cinema, tenetelo d’occhio!).
Benny è proprio lo stereotipo del motociclista ribelle, che vive solo per la moto e non gli importa di niente e di nessuno, o come gli piace dire “io non chiedo nulla e non voglio che nessuno chieda a me qualcosa“. Benny pare non abbia mai pianto e non sembra possedere sentimenti: vuole solo andare in moto, tanto che la sua preoccupazione quando rischierà di avere un piede amputato, sarà sempre e solo rivolta alla possibilità di tornare o meno in sella. Anche lui alla fine subirà una evoluzione, e ciò rende il personaggio meno piatto, rispetto a quanto visto nell’ora e mezzo precedente. In questo senso un po’ un cliché che la ragazza di turno si innamori del bello e tenebroso, tanto duro quanto maledetto. Scontato anche che la stessa provi a cambiarlo senza riuscirci almeno all’apparenza.
Attraverso la narrazione di Kathy ripercorriamo dunque le vicende dei Vandals, da piccola banda locale con dei valori ben precisi fino ad arrivare all’ inevitabile declino dovuto al suo numero di adepti sempre più ampio ma soprattutto ai tempi che inesorabilmente cambiano. Arriva la contestazione del’68, l’abuso di droghe ed una nuova generazione che “non ascolta” come dice Johnny, e che trasformerà la banda in una vera e propria gang criminale.
Tiriamo le somme
Chiaramente l’ambientazione del film è le sue tematiche ci riportano a quel capolavoro che fu Easyrider; non a caso in questa pellicola esso viene anche citato in una scena quasi grottesca. Ma se quest’ultimo fu un manifesto per una generazione e rappresentò una denuncia della società americana così chiusa e violentemente gratuita, The Bikeriders è invece uno spaccato dell’epoca d’oro del motociclismo itinerante. Un periodo che non tornerà più, dove per sfuggire ad una vita piatta e conformista ti bastava salire in sella ad una moto ed essere parte di un qualcosa, come una banda, in cui trovare valori, regole e perfino una famiglia: tutte cose che i protagonisti del film non hanno mai avuto.
La moto allora diventa una metafora del viaggio, della libertà, della trasgressione e della ricerca di sé. I membri di questo branco se la costruiscono da soli, così come puoi costruirti la tua vita ed il tuo destino perché nulla è già deciso e tutto è ancora da scrivere. “Se te la customizzi la tua moto non sarà mai uguale a quella di un altro” così come ogni persona è diversa dall’altra. Ma soprattutto, come insegna Rocky Balboa “l’importante è come sai resistere ai colpi della vita, come incassi e se finisci al tappeto hai la forza di rialzarti!“. Così dunque se cadi dalla tua moto devi fare di tutto per tornare in sella.
Qui sotto il trailer del film.
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