Tutti ricordiamo il viaggio nel mondo di J. R. R. Tolkien con la trilogia di Peter Jackson (2001, 2002, 2003) che ha segnato la cultura pop di più generazioni. Ora, con due stagioni già all’attivo della serie TV Gli Anelli del Potere, noi di Pennadicorvo (o meglio uno dei Tolkien addicted) siamo pronti a tirare le somme. Dopo diverse riflessioni e una live su Twitch dedicata all’universo di Tolkien (che puoi recuperare qui su YouTube), è giunto il momento di mettere nero su bianco il nostro punto di vista.
Il Potere
La seconda stagione de Gli Anelli del Potere ruota attorno all’idea del potere: quello politico di Númenor, quello magico da recuperare e quello da infondere negli artefatti elfici. Tuttavia, alcune scelte narrative lasciano perplessi. E non parlerò di canone tolkeniano, ma di pura sceneggiatura. Questo articolo contiene spoiler, poiché solo così posso affrontare appieno le assurdità della serie.
Perché è proprio di una serie TV che stiamo parlando, non di un prodotto derivato dal sudore delle fatiche di Tolkien, ma di una normale serie fantasy, con eventi che accadono senza un reale filo conduttore.
Non intendo confrontare direttamente la serie con le opere di Tolkien, appunto, poiché questa separazione è già avvenuta nella prima stagione e ancor più nella seconda.
Númenor: lo zoo dei voltagabbana
Una delle storyline più affascinanti del mondo di Tolkien è quella di Númenor. Tuttavia, nella serie, la grande civiltà degli Uomini è ridotta a una massa di traditori e opportunisti. Accadono eventi senza una logica apparente, come l’apparizione inspiegabile di un’aquila a favore di Ar–Pharazôn a discapito di Tar-Míriel. L’aquila (il deus ex machina tolkeniano) svanisce in circostanze altrettanto ambigue. Per un motivo non precisato il buon Pharazôn si appropria indebitamente di questa assurda apparizione per conquistare il favore del popolo.
Purtroppo, lo scambio di potere tra lui e la cugina regnante è un’altalena di inutilità. Sì, perché la stessa Míriel riconquista il favore del popolo (impersonificato in una ventina di “nobili”) superando la prova acquatica dei Valar.
Qui, Patrick McKay e J.D. Payne (showrunner della serie) decidono di trasformare la Terra di Mezzo in un comizio di Cetto La Qualunque. Per ri-riprendere il potere, l’Uomo che affonderà Númenor sottopone al capo dei Fedeli (della regina) una pergamena di cui non ci è dato sapere il contenuto e accompagna tale scritto con l’accusa di combutta con Sauron. Di punto in bianco, i Fedeli voltano le spalle alla regina e si uniscono a Pharazôn. Per premiarli, il di nuovo re decide di giustiziare tutti, anche chi non era presente all’incontro.
Perché? Perché sì. Si tratta di uno scambio di potere continuo e sconclusionato. Sarebbe bastato molto meno, come un matrimonio politico, per ottenere il trono, ma gli sceneggiatori scelgono di creare complessità inutili.
I personaggi di Númenor, poi, non brillano: statici, privi di motivazioni forti. Figlie ribelline, stereotipi dei Marines U.S.A. e Elendil che è davvero poco carismatico. Inoltre, la serie fallisce nel fornire una chiara spiegazione del conflitto tra Númenoreani ed Elfi, lasciando tutto a un conflitto che si sviluppa per inerzia.
La noia: le protohobbit e lo Straniero (solo di nome)
Una delle trame più scialbe e deludenti della seconda stagione è quella che riguarda lo Straniero e le protohobbit. Gli showrunners hanno portato avanti una farsa prevedibile e scontata. Fin dalla fine della prima stagione, era palese che lo Straniero fosse Gandalf, eppure ci hanno fatto attendere un’intera stagione per svelare questo “segreto” già noto.
La sua acquisizione dei poteri è gestita in modo superficiale e banale, simile a una side quest di un videogioco di ruolo, quasi ispirata ai Jedi di Star Wars. Ma qui, al posto di Obi-Wan, abbiamo un insipido e ridicolizzato Tom Bombadil. Nel canone tolkieniano, Tom Bombadil è una figura enigmatica e potentissima, immune all’influenza dell’Unico Anello e rappresentazione dell’autore stesso, un’entità distaccata e neutrale rispetto agli eventi della Terra di Mezzo.
Nella serie lo vediamo ridotto a un maestro Jedi che assegna una missione allo Straniero, che completandola otterrà focus da stregone, poteri magici e nome. Questo trattamento è un insulto all’importanza simbolica del personaggio Bombadil.
E poi c’è lo stregone malvagio (anch’esso senza nome), che potrebbe persino essere Saruman. Se così fosse, questo manderebbe in rovina l’intera cronologia di Tolkien, visto che nella serie gli eventi si svolgono mille anni prima della comparsa di Gandalf. Come si può anche solo immaginare che Saruman sia attivo in questo periodo storico? La questione diventa surreale. La confusione temporale è degna dell’ultima stagione di Game of Thrones, dove lo spazio e il tempo sembrano del tutto privi di regole.
A peggiorare il tutto, abbiamo i protohobbit e il loro irrilevante supporto alla trama. Un’intera sotto-trama dedicata a Poppy e una romance con uno Sturoi, priva di significato e di impatto. Mentre Nori, se eliminata dalla serie, passa del tutto inosservata.
Inoltre, il modo in cui Gandalf acquisisce il suo nome è ridicolo. Tolkien ci racconta che Gandalf è chiamato “Grand Elf” (Grande Elfo) perché nessuno conosceva la sua vera razza. Ma nella serie, un protohobbit – che non ha mai visto un elfo – gli dà quel nome quasi per caso, come se fosse un’etichetta casuale, e Gandalf lo adotta senza pensarci due volte.
E come ciliegina sulla torta, lo Straniero (alias Gandalf) si ritrova a bere, fumare e cantare con un Bombadil che sembra un maestro Jedi mancato. Tutta la magia e la profondità delle opere di Tolkien si perdono in questo inutile fanservice fatto di citazionismo spicciolo.
La domanda che resta è: se i Valar hanno inviato Gandalf nella Terza Era per aiutare gli Uomini contro l’Ombra di Mordor, cosa farà il Gandalf della serie TV per i prossimi mille anni, senza alcun motivo per essere ad Arda? Il personaggio sembra messo lì solo per accontentare i fan, senza alcuna coerenza narrativa.
Gli Elfi e la festa dell’Unità di Gran Burrone
Le cose si fanno complesse quando si analizzano le trame relative agli Elfi. Abbiamo Celebrimbor e Sauron, Gil-Galad con Galadriel, Elrond e l’inutile Arondir, infine Adar e i suoi figli perduti. Concentriamoci sugli “Elfi standard”. Ed è qui che la delusione si fa sentire.
Gli Elfi, nella loro rappresentazione tolkieniana e nell’immaginario collettivo, sono esseri elevati, divini, nobili, quasi intoccabili. Ma nella serie sembra che abbiano scambiato questa dignità per un mix tra soap opera e fiction a basso budget. Sembrano personaggi usciti da Beautiful o Terra Amara, con i loro drammi personali, romanticismi forzati e comportamenti che non si avvicinano minimamente alla fiera regalità elfica.
Partiamo da Galadriel: la potente guerriera di un tempo è stata trasformata in una versione elfica e di seconda mano di Xena, con una dose extra di rimorsi e piagnistei. Quello che doveva essere un personaggio alfa, si riduce a un concentrato di insicurezze.
Gil-Galad, il Re elfico, dovrebbe essere la saggezza incarnata, invece sembra un manichino da esposizione, privo di qualunque spessore decisionale o carisma. È come se avesse assegnato tutti i suoi punti caratteristica alla lucentezza dei capelli piuttosto che alla leadership.
Elrond è l’unico che tenta, disperatamente, di mantenere un po’ di quella solennità elfica. Anche lui non è esente dalle decisioni insensate imposte dagli sceneggiatori. La gestione degli Anelli è talmente casuale che si perde ogni senso logico. Chi prende un Anello e perché? Non c’è nessuna spiegazione valida. Al punto che il futuro re di Gran Burrone utilizza qualunque anello abbia a tiro. E il bacio. Oh, il bacio. La scena più cringe di tutta la serie. E non uso il termine “cringe” a cuor leggero, ma qui è inevitabile.
In pieno campo orchesco, Adar offre un luculliano banchetto ad Elrond, con contorno di Dama Galadriel imprigionata. Dopo un batti e ribatti, Elrond prende la sua spilla e sbeffeggia il suo anfitrione. Al che, il buon padre degli orchi minaccia di morte Galadriel.
(Fossi stato io, avrei decapitato due degli Elfi più potenti che si aggirano di propria sponte nel mio campo, ma andiamo avanti.)
Dopo le vuote minacce, Elrond decide che è giunto il momento di salutare Galadriel con un bacio. Avrebbe fatto lo stesso senza l’aggressività di Adar? Ad ogni modo, dopo il bacio si scansa e passa la spilla precedentemente raccolta a Galadriel. Sotto gli occhi di tutto il campo. Ti lascio un minuto per capire bene cosa è stato mostrato a video.
Fatto? Sì, tutti, dagli spettatori all’orco dietro Galadriel hanno visto il passaggio di mano e nessuno fa nulla per impedire questa cosa. Nessuno. Mi chiedo, gli orchi sono ciechi? Sì.
Dopo l’assedio, che tratteremo più avanti, i superstiti si dirigono alla Festa dell’Unità di Gran Burrone sotto la guida di dei tre Elfi “protagonisti” più Arondir, perché sì. Grande Elfo, pardon, Gil-Galad alza la spada al cielo e gli Elfi scagliano pugni chiusi in aria, urlando e strepitando, mentre una musica epica in sottofondo prende la scena. Sembra quasi che abbiano scambiato la missione per salvare Arda con un comizio politico. Dove sono finiti gli Elfi fieri e divini che conosciamo? Qui sembrano solo dei “compagni” in una parodia fantasy.
In conclusione, questa storyline degli Elfi è forse una delle rappresentazioni meno convincenti che abbia mai visto.
Celebrimbor, ti presento Sauron
Oh, sì. È il titolo adatto alla main story di questa serie. Perché qui vediamo finalmente Sauron, o meglio, Annatar. Chi è costui? Annatar è un inviato degli dei che elargisce doni e conoscenze in tutta la Terra di Mezzo, specialmente nell’Eregion, dove trascorre centinaia di anni al servizio di Celebrimbor, instaurando così una salda relazione e manipolando l’erede di Fëanor fino a fargli creare gli Anelli del Potere, prima di torturarlo e impalarlo sulle porte del regno di Eregion.
Esattamente l’Annatar mostrato nella serie, giusto? Ah, no? Per citare un meme.
No, perché l’Annatar della serie TV è un messia cristiano apparso tra le fiamme (noto elemento associato al male nel mondo di Tolkien), che raggira in maniera piuttosto infantile un artefice centenario come il fabbro degli Anelli; basti pensare che incolpa Celebrimbor di aver fallito con gli anelli nanici perché “ha detto le bugie”, citazione presa dall’episodio.
Sauron manipola, instilla il dubbio, altera la verità. L’Annatar dello show accarezza i capelli di Mirdania (un’adepta di Celebrimbor) e lei si innamora perdutamente. Wow, l’epica fierezza, l’incontrastato carisma, l’ineluttabile voluttuosità di Sauron. Sì, sono proprio questi i motivi per cui è noto.
Senza parlare di Celebrimbor, che più e più volte si rende conto di essere preso in giro da Annatar, ma continua imperterrito a forgiare anelli su anelli (anche in ordine sbagliato, tra l’altro), e si accorge di essere in una finzione solo perché un topolino cammina in loop nella stanza, tipo il deja-vu di The Matrix.
Sì, perché poi, quando Annatar lascia cadere l’illusione, notiamo la fucina devastata e piena di detriti. Fucina in cui Celebrimbor passeggiava noncurante mentre forgiava gli anelli. Sceneggiatori? Ce la facciamo a non scrivere idiozie per dieci minuti? Volete farmi credere che la fucina del fabbro era invasa dai detriti di un assedio in corso e lui ci girava intorno inconsapevole e beatamente illuso nella proiezione 4k creata da Sauron?
Due sono le cose: o Patrick McKay e J.D. Payne credono che gli spettatori non siano attenti, oppure davvero hanno scritto queste idiozie.
Elfi inetti, terrorizzati, impauriti e scoordinati. Ciechi all’assedio dinanzi alle loro porte. Letteralmente colti di sorpresa con catapulte e macchine da guerra assiepate dinanzi l’ingresso del loro regno. Impotenti di fronte a degli orchetti. Soggiogati da una visione in 4K talmente idilliaca che anche Eru Ilúvatar avrebbe tentennato. Questi sono i personaggi scritti nero su bianco dagli autori della serie TV. Assurdo.
Come assurdo è Arondir. Elfo figo che ammazza orchi e basta. Non ha uno scopo, non ha una sottotrama (tagliata con l’accetta quella degli Ent), non ha più una romance. Arondir, ma che ci fai ancora su schermo?
I Nani: la mancata salvezza della serie
La storyline dedicata agli Anelli dei Nani, a Durin IV e a come il balrog ha devastato Khazad-dûm trasformandola in Moria, è stata una delle più fedeli al canone e — guarda un po’ — una delle più apprezzate dagli spettatori.
I Nani sono gli unici ad avere una scrittura più profonda, fatta di momenti introspettivi, relazioni complicate da gestire e dilemmi etici da sostenere. Aiutare o meno gli amici Elfi? Spodestare o meno un padre? Chi salvare: il re oppure l’amico di sempre? Tutte situazioni che accrescono l’arco narrativo di Durin, di sua moglie Disa e, in maniera collaterale, di tutto il reame di Nanosterro.
Purtroppo anche i Nani non sono esenti da sviste clamorose, come l’essere messi in fuga da un branco di pipistrelli, come se un piccolo Bruce Wayne dimorasse in ognuno di loro. Chi trova meno appeal è proprio re Durin III, che in circa un pomeriggio diventa schiavo dell’Anello donato da Celebrimbor e Annatar. Il processo di sottomissione avviene in decenni e, soprattutto, il re nanico non si appropria di tutti gli Anelli dei Nani per tenerli in ostaggio in cambio di metà delle miniere degli altri reami.
Il potere degli Anelli non è chiaro nemmeno agli sceneggiatori, dal momento che regala una vista ai raggi X in una puntata e la super forza in un’altra.
Vorrei sottolineare, a questo punto, che il “potere” degli Anelli è qualcosa di più subdolo e profondo di un semplice super potere da sfoggiare all’occasione. Negli Anelli del Potere, quelli veri, c’è la corruzione di Sauron, che dona sì poteri ai possessori, ma utilizza questo senso di adulazione e persuasione per far crollare la volontà dei portatori al suo dominio. Aspetto palesemente assente in tutta la serie.
Finalmente… la fine
Il finale, disastroso, arriva almeno a salvare le mie stanche membra. Anche perché avremo una terza, una quarta e una quinta stagione. Non ho assolutamente voglia di vederle, ma so che lo farò comunque.
Proviamo a fare un resoconto. Di canone tolkieniano non c’è nulla. La cronologia è completamente sballata, i deus ex machina sono gestiti male, i personaggi sono piatti e privi di mordente. I cattivi parlano di amore e famiglia e ci sono personaggi che non hanno alcun motivo di apparire, ma sono presenti fino all’ultima puntata. Le caratterizzazioni sono distorte rispetto alle loro controparti cartacee, con personalità senza spessore e una narrazione che tradisce la profondità dell’opera originale.
Di certo, l’aspetto visivo e complessivo è più che spettacolare, seppur il balrog è palesemente preso dalla trilogia jacksoniana. Le musiche sono da brividi (tranne nell’ultima puntata). Gli occhi godono come fagiani in festa ad ogni cambio inquadratura e chi non conosce Tolkien, continuerà a non conoscerlo. Perché non c’è nulla dell’anima del linguista inglese.
Siamo di fronte a un prodotto che non solo si allontana dal capolavoro di Tolkien, ma sembra perdersi in un tentativo maldestro di adattamento che, pur con tutti i mezzi a disposizione, manca nel catturare l’essenza della Terra di Mezzo e dei suoi abitanti. Un finale che mi lascia senza entusiasmo e con la consapevolezza che il viaggio sia ben lungi dall’essere concluso… purtroppo.