Pennadicorvo incontra Antonio Cella

Grazie Antonio per averci concesso un po’ di tempo e benvenuto sulle pagine di Pennadicorvo! E’ un onore e un piacere fare quattro chiacchiere insieme a te, dopo aver apprezzato i tuoi lavori su Giallo di Leviathan Labs.

Una domanda che da sempre ci interessa proporre alle persone che incontriamo è: Come ti sei avvicinato al mondo del fumetto? Quale è stata la tua formazione in tal senso?

Il primo fumetto che ricordo in assoluto è un albo di Mortadelo y Filemon del grande lbanez. Ho consumato quelle pagine fino a distruggerle. Poi la mia carriera da lettore è continuata sulle pagine di Braccio di ferro, la Pimpa, Topolino, insomma tutti i fumetti che si potevano trovare in edicola durante gli anni ’80. Crescendo ho scoperto l’horror di Dylan Dog e mi sono affacciato al mondo degli eroi Marvel. Ma è durato poco, almeno fin quando ho messo gli occhi sulle pagine del Lobo Bisleyano, e sulle opere d’arte di quel geniaccio di Dave McKean. È stato in quel periodo che ho capito che bisognava fare una scelta, restare un lettore seriale o darsi da fare e convogliare tutta questa passione per il fumetto in qualcosa di tangibile? Da allora non c’è stato giorno in cui le mie letture non fossero indirizzate verso lo studio dei grandi maestri, Pratt, Manara, Pazienza, Roy, Toppi, Battaglia, cercando di scegliere sempre il meglio, ne valeva della mia formazione.

Abbiamo avuto modo di apprezzarti sulle pagine di Giallo. Come nasce il sodalizio con i ragazzi di Leviathan Labs?

I ragazzi dì Leviathan sono dei pionieri. Quando credi che tutto sia stato già scritto, disegnato e pubblicato, spunta un tizio come Massimo Rosi e ti scarica sul mercato italiano una valanga di fumetti dal sapore underground che qui da noi si erano intravisti solo negli anni ’90. Tra me e quel modo di concepire il fumetto c’è molta sintonia, una libertà interpretativa del racconto che trasforma qualsiasi sceneggiatore o disegnatore in un artista. Decisi quindi di propormi inviando loro una storia fantasy scritta e disegnata da me. Furono tanto gentili da rispondermi che avevano un piano editoriale completo ma che, se fossi stato interessato, potevo provare a creare una storia horror per un loro nuovo progetto editoriale. Interessato? All’horror? Non ebbi dubbi e sfornai Pozzo Mutu che venne pubblicato nel primo numero di Giallo.

I personaggi delle tue storie per Giallo (Pozzu Mutu e Sacra Maledicta) hanno degli aspetti visivi in comune. A cosa ti sei ispirato?

Non riesco già da un bel pezzo a decifrare il mio stile. Credo che esso sia una sintesi di tutte le cose che mi piacciono e posso assicurarvi che sono davvero tante. Quando studi e scrivi e disegni per tanto tempo cercando di scremare il più possibile, alla ricerca di un equilibrio che sia solo tuo, perdi il filo del discorso per diventare unico artefice del tuo stile. Le ispirazioni principali per i miei lavori su Giallo sono venute da Battaglia, Roy, Toppi, almeno per l’aspetto grafico. Per quanto riguarda la storia, nell’ horror mi affascina quel filone che sfrutta l’immaginazione del lettore. Penso a film come Poltergeist in
cui per mezza pellicola si vede poco o nulla, la vicenda viene appena accennata. In fondo in una bella storia di paura è lo spettatore che inventa i suoi demoni, lo scrittore deve solo insinuare il dubbio. Così è nato Pozzo Mutu, dove le atmosfere e la solitudine della protagonista hanno creato l’angoscia. Sacra Maledicta e La Coccia seguono lo stesso filone, ma ammetto di essermi lasciato un po’ andare a carneficine e scene esplicite, d’altronde mi sembravano indispensabili.

A quale lavoro ti senti più legato? E perchè?

La Coccia è un fumetto che mi ha divertito fin dall’inizio. Il personaggio totalmente invasato e in balia di deliri di onnipotenza mi faceva scompisciare dalle risate e spesso, mentre lo creavo, mi ha fatto sorgere dei dubbi. Non ero sicuro di realizzare un horror, mi divertivo come un pazzo e mi preoccupava l’idea che la storia potesse sembrare una parodia, una commedia psicofobica. Ma ho tenuto duro, parlavo di storia, di come un pazzo possa essere preso tanto sul serio da condizionare le vite di migliaia di persone. Parlavo della paura del diverso e di come sia nato il nome della mia città. Tutto questo bastava a fare di un simpatico folle, un incubo purulento.

Quale delle cose che ti sei trovato a disegnare nel mondo del fumetto ti ha messo di più in difficoltà? E perché?

Quando scrivo e disegno le mie storie non ho grandi problemi. Ci penso su così tanto che tutto alla fine si palesa con una certa semplicità. Il problema nasce quando c’è una sceneggiatura dettagliata, quando la tua creatività viene in qualche modo imbrigliata, annullata. Ma credo che questo sia il problema di quasi tutti i disegnatori. Ecco perché preferisco realizzare le mie storie da solo, credo di potermi esprimere meglio così. Oggi gli
amici sceneggiatori che hanno imparato a conoscermi mi propongono storie per così dire “aperte” alle mie deviazioni e fanno di tutto per ingoiare rospi spesso indigesti, li ringrazio per questo,

Sappiamo di una tua collaborazione con Leonardo Cantone che vedrà la luce il prossimo anno. Cosa puoi dirci a riguardo?

Con Leonardo ci conosciamo da molto tempo e sappiamo bene cosa chiedere l’uno all’altro. Per questo progetto, che abbiamo proposto alla Leviathan, abbiamo deciso di esagerare… Non vi ho ingolosito abbastanza? Ok. Vi dirò che il caro Leo mi ha trascinato in un ( indovinate? ) horror animalesco, dove una natura gelida e ostile popolata da fiere senzienti, si mescola con i dolori della guerra e…. basta così. Proveremo a completarlo entro il 2025 ma sarà un’impresa colossale, pensate che solo con le tavole degli studi dei personaggi, dei luoghi e delle scene, si potrebbe realizzare una pubblicazione speciale. Basta ho detto troppo…

Quale consiglio puoi dare ai giovani (e non) che voglio avvicinarsi al mondo del fumetto inteso come professione?

Trovatevi un lavoro. Cioè, se avete intenzione di fare fumetti, è basilare avere un altro lavoro perché con i fumetti, in Italia, non si mangia. E già questo vi creerà problemi perché per fare fumetti serve molto tempo e quando hai un lavoro e magari anche una famiglia il tempo è sempre poco. Imparate a non dormire, sarà utile, finché non crollerete. Andate a scuola e seguite dei corsi ma con la consapevolezza che tutti i sacrifici che farete per acquisire un attestato, varranno non più del 20% del vostro bagaglio culturale, il restante dovrete procurarvelo da soli, giorno per giorno, per tutta la vita. Siate condivisivi, dedicate il vostro tempo a chi ve lo chiede anche gratuitamente, vi tornerà utile in fatto di esperienza e incontri. Cercate di farvi conoscere per il vostro lavoro, non per il numero di followers. Lavorate tutti i giorni ed esponetevi al giudizio degli altri, non potrete mai crescere senza i giudizi altrui. Puntate alle soddisfazioni non al denaro, almeno all’inizio.

Domanda bonus: cosa ti sarebbe piaciuto disegnare delle cose che hai letto?

Vorrei ridisegnare tutte le storie che ho letto ma non sono tanto presuntuoso da pretendere di fare meglio di chi mi ha preceduto, quindi meglio evitare. Ho un sogno nel cassetto e se proprio dovessi scegliere, mi piacerebbe disegnare una storia di Hellboy, magari scritta da Mignola.

Grazie ancora per il tempo dedicato e soprattutto per la tua schiettezza. Fare fumetti è un lavoro bellissimo, ma non per forza facile. Le tue parole, oneste ma crude, fanno chiarezza sul mondo delle storie a strisce, senza filtri. Grazie ancora. Speriamo di leggere presto altre cose tue.

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