Un dolce abbraccio e tanto amaro in bocca. Queste sono le emozioni con cui usciamo dalla sala dopo la visione di Nonostante, la pellicola che vede Valerio Mastandrea nel doppio ruolo di attore protagonista e regista. Opera drammatica dalle tinte fantasy, Nonostante è un film coinvolgente, una visione che scorre con leggerezza e che cattura con facilità, ma è anche un’opera incompleta, a cui manca un pezzo importante.

In un generico ospedale senza nome vivono dei generici personaggi senza nome. Le stanze dell’ospedale in cui è ambientata gran parte della vicenda sono occupate da persone in coma. Pare, tuttavia, che le anime di questi pazienti abbiano temporaneamente lasciato i loro corpi fisici, e che possano incontrarsi e comunicare. Su questa premessa si sviluppa la storia che vede protagonista il personaggio interpretato da Mastandrea che, intrappolato in un limbo dalla sorte incerta, affronterà una folle storia d’amore.
Ecco, “folle” è proprio la parola azzeccata, perché questo racconta Nonostante: la follia, la perdita di ragione di fronte all’amore puro e sincero. Un amore vero, che esiste e che conta. L’unica cosa che conta. Per questo il film riesce a emozionare e rammaricare con facilità, perché racconta personaggi veri, comprensibili anche nella loro totale pazzia, che ci ricordano che una vita senza amore non è una vita che vale la pena vivere.
Sospesi tra la paura della morte e la paura della vita, i nostri protagonisti ci portano nelle loro ansie, nelle loro gioie e nelle loro paranoie. Seguiamo, ci affezioniamo e a un certo speriamo nel “peggio”, così che tutto vada per il meglio.

Non manca qualche incuria in una regia che, a conti fatti, svolge bene il suo lavoro (qualche totale che rendesse più chiara la distribuzione degli attori nello spazio non avrebbe guastato, ad esempio). Ma ciò di cui si sente di più la mancanza nella pellicola è la costruzione di fondamenta più solide per la storia d’amore dei protagonisti.
Il loro rapporto è forte, e lo spettatore non farà fatica a percepirlo, ma manca qualche passaggio che si possa definire memorabile, come lo “scocco della scintilla”, o una scena in cui i due si raccontano a cuore aperto l’uno all’altra. Un gesto eccezionale che sia espressione di sentimento, o un momento di rottura che aggiunga un pizzico di tensione, insomma, qualche elemento da dramma romantico che avrebbe reso questo film ancora più solido.
E per questo lo definiamo un “dolce peccato”, una nuova occasione mancata nel panorama del cinema nostrano che ci ricorda che le idee ci sono, le mani sapienti non mancano, ma ci vuole ancora una spinta che renda i nostri progetti imperdibili e competitivi, forse una spinta che potremmo “sgraffignare” dallo stile internazionale.
