Nel cuore della Toscana, tra le colline di Carmignano, si erge l’Abbazia di San Giusto al Pinone. Ed è proprio questo luogo reale, impregnato di storia e leggenda, a diventare il fulcro narrativo de La Sperduta, racconto lungo di Flavio Deri, firmato per la collana Folklore Oscuro di Delos Digital. Un’opera che affonda le sue radici nell’orrore cosmico, debitore dichiarato dell’immaginario di H.P. Lovecraft, e che ne rielabora lo stile e i topoi in chiave personale e spiazzante.

La scrittura di Deri ricalca con intelligenza molte delle cifre distintive del linguaggio lovecraftiano: un lessico denso e viscerale, l’uso costante di sensazioni fisiche – spesso disturbanti – e una tensione crescente che si fa claustrofobia psichica e sensoriale.
Si tratta di un’immersione autentica nel paradigma narrativo del “Sognatore di Providence”, dove il male non si affronta, ma si contempla con terrore e impotenza. L’autore conosce profondamente il weird lovecraftiano e lo dimostra nell’evocazione di ambienti che sembrano pulsare di vita propria, nella costruzione di un orrore che si cela tra le pieghe del reale e nell’irrompere del perturbante nel quotidiano.
Protagonista della vicenda è Giulia Bonanni, esperta di beni culturali, incaricata di un sopralluogo all’interno dell’antica abbazia. Ciò che inizia come una semplice esplorazione archeologica si trasforma presto in un incubo senza via d’uscita: un viaggio a ritroso nella memoria arcana del luogo, tra cripte sepolte, frati corrotti da un culto oscuro e presenze che respirano sotto la pietra.
La Sperduta rappresenta una narrazione stratificata, che affronta con coraggio la rappresentazione del trauma, dell’alienazione e del senso di colpa. Giulia non è un’eroina tradizionale ma una testimone schiacciata dall’indicibile, che oscilla tra lucidità e follia. E proprio in questa umanità spogliata, spezzata, risiede uno dei meriti maggiori del racconto.
Altro elemento centrale è l’abbazia stessa, trattata non come semplice ambientazione, ma come entità viva, palpitante, capace di inghiottire i suoi visitatori e di plasmarne la psiche. Come nei migliori racconti lovecraftiani, l’architettura diventa corpo, membrana, custode di un sapere proibito che non può essere contenuto né dimenticato.
La Sperduta è anche un esempio virtuoso di come il folklore possa essere reinterpretato in chiave weird. L’autore rielabora la leggenda della campana dell’abbazia – realmente esistita – trasformandola in simbolo sinistro di un richiamo ancestrale, portando il lettore a domandarsi se la fede possa davvero salvare… o solo condannare.
Il racconto si chiude con un colpo di scena finale che destabilizza ogni certezza e lascia il lettore sospeso, come accade nelle migliori narrazioni dell’orrore: non tutto è spiegato, non tutto è risolvibile. Perché la vera paura nasce quando il mistero resiste al significato.
Un racconto, quello di Flavio Deri, che si distingue per la qualità della scrittura, per la capacità di evocare immagini potenti e disturbanti, e per l’intelligenza con cui dialoga con l’eredità di Lovecraft. Un testo che piacerà agli appassionati del weird più puro, ma anche a chi cerca nell’orrore qualcosa di più di un semplice brivido.