Giocare è un’arte – Il gioco come tecnologia trasformativa

Grazie ad add Editore, abbiamo letto il testo di C. Thi Nguyen Giocare è un’arte, un volume di 368 pagine arrivato in Italia il 13 ottobre 2023 grazie all’editore Torinese. Dopo un’attenta lettura e dopo averne colto appieno il significato ed il messaggio che si voleva comunicare, abbiamo ritenuto necessario affrontare il testo recensendolo in una maniera differente dal nostro standard.

Giocare oltre la narrazione

Con l’affermazione progressiva delle nuove tecnologie, accompagnate da un accesso globalizzato allo spazio digitale, emergono nuovi spazi e nuovi elementi di codifica attraverso cui la conoscenza, la socialità, la politica vengono elaborati, favorendo altresì anche la proliferazione di spazi artistici, sportivi e ludici che trovano nel digitale una nuova modalità espressiva.

Il concetto di gioco, ancora comunemente vincolato ad una accezione classica del termine, mostra tutta la limitatezza legata ad una visione meramente inquadrata in chiave strumentale e ricreativa. A tal proposito il saggio di C. Thi Nguyen è volto soprattutto a valorizzare la concezione estetica legata al gioco senza tralasciare gli aspetti formativi, sociali e intellettivi che nascono a partire da questa attività, prendendo parte in maniera trasversale alla visione che accentua l’indipendenza del gioco rispetto al piano meramente narrativo.[1] Il suo pensiero non è per tanto assimilabile a quelle teorie che tentano di ridurre alla narrazione e al contenuto finalistico l’essenza totale del prodotto ludico, ponendo l’accento sulla priorità testuale e alla sua interpretazione, limitando (e non di poco) non solo la comprensione della dimensione pratica stessa, ma anche la stessa valenza polisemantica che si nasconde in un universo costituito da un vero e proprio intreccio tra dimensione pratica e quella narrativa.

Il valore estetico di questa attività complessa che è il gioco è allora da ricercare nelle giunture e nelle ramificazioni che collegano la retorica (o meglio quell’universo costituito dalla narrazione e dal sistema di regole che delimitano l’ambito del gioco) all’atto pratico, che si scontra inevitabilmente con la mutevolezza del reale, i fattori psicologici e ambientali che accompagnano l’azione del gioco (si potrebbe dire che ciò che completa l’esperienza sono i dettagli fisici dell’oggetto materiale e il modo in cui questa particolare fisicità interagisce con le regole specificate e gli obiettivi del gioco).

Nella dimensione ludica le infinite possibilità di design possono offrire una serie illimitata di esperienze diverse, così come la nostra forma di impegno può essere veicolata dal sistema di regole dettato in modo da essere motivata e creativa. In questa ottica, se nella realtà sono costretto ad utilizzare un sistema di scopi prettamente incentrato su valori morali saldamente fondati sulle mie credenze e resistenti al cambiamento, nella dimensione del gioco posso sperimentare un piacere estetico legato a una “fluidità agenziale”, un cambio di muta che mi permette di esplorare sistemi alternativi al mio pur lasciando integra la mia personalità, i miei principi morali e personali.

In questo senso l’azione interpretativa, così come avviene per l’attore nello spettacolo teatrale, viene traslata a quella del giocatore, che diviene autore della propria performance, occasione in cui può esprimere e mettere alla prova la propria identità in relazione al contesto di gioco. Ciò è particolarmente evidente nei giochi di ruolo, nei giochi di società e più recentemente nei videogiochi, luogo in cui la creatività raggiunge spazi smisurati e i confronti tra diversi livelli etici, intrepretativi e narrativi si allacciano a una moltitudine di individui e di esperienze condivise.

Creatività, crescita e relazione nell’interpretazione

In questo contesto il gioco non solo stimola la creatività, ma diventa anche uno strumento di crescita personale, in cui i giocatori non solo si confrontano con sfide che li aiutano a comprendere meglio le proprie capacità e le proprie emozioni ma anche uno strumento che permette il confronto interpersonale su sfaccettature della personalità, caratteriali e ambientali difficilmente riproducibili naturalmente in un contesto quotidiano.

I risvolti positivi quindi, non sono solo rilegati all’ambito del piacere, e nemmeno solo all’ambito pratico-tecnico, ma sembrano suggerire un vero e proprio interesse per l’individuo rispetto al meccanismo in cui la creatività abbraccia la scoperta. Un piacere così definito allora non risiede solo nei risultati finali legati al raggiungimento dell’obiettivo di gioco, ma nel processo stesso di evoluzione del gioco, alle diverse modalità con cui è possibile esprimersi ed operare. Il giocatore, proprio come un artista, esplora le possibilità offerte dal gioco, interagisce con le regole e si confronta con imprevisti che, invece di limitare la sua esperienza, la arricchiscono. I giochi diventano un mezzo per esplorare le dinamiche relazionali, le alleanze, i conflitti e le cooperazioni, rendendo il gioco un’esperienza condivisa che va al di là dell’individuo.

L’accezione che Nguyen attribuisce alle limitazioni date dalle regole del gioco risulta per tale motivo non-costrittiva, ma uno strumento chiaro e preciso su cui edificare lo stimolo creativo. Le regole offrono un campo di esplorazione che stimola il giocatore a sviluppare strategie innovative, ad adattarsi a nuove situazioni e a improvvisare. Lungi dall’essere un meccanismo statico o opprimente, la regola rappresenta nella sua limitatezza un fulcro di negoziazione creativa tra i giocatori, mezzo, strumento che permette al giocatore di interagire con un infinito mondo di possibilità dettato dalla propria interpretazione o dalla semplice espressione personale/artistica.

Il gioco sfidante: estetica, tensione e immersione

Proprio su queste premesse si fonda il particolare piacere estetico che riscontriamo nel “gioco sfidante”, ossia nel piacere che trascende la mera competizione o l’ottenimento di un risultato finale. Tale peculiarità risiede in un rovesciamento dei fattori causali normalmente associati al gioco. Infatti se normalmente il giocatore utilizza le proprie capacità, l’asservimento a una agency temporanea al fine di conquistare la vittoria, nel gioco sfidante il desiderio di vincere risulta essere perseguito solo come semplice strumento finalizzato invece a uno stato di lotta in cui sperimento una condizione di piacere estetico legato alla tensione estrema delle mie abilità. 

In questo processo coinvolgente l’agente stesso “mette da parte” la propria coscienza per calarsi integralmente in un contesto particolare in cui gli scopi temporanei guidano l’azione e occupano il centro della coscienza. Tuttavia è da tenere in considerazione che questa “messa da parte” è possibile solo grazie alla capacità dell’agente di operare una stratificazione agenziale, ossia non solo di operare una attenzione filtrata e focalizzata sul compito ma anche di poter operare un’analisi critica sulla propria operatività e sul senso connesso all’attività stessa. Dice Nguyen a tal proposito:

La mia coscienza si perde nella completa devozione a questo problema, a questa posizione del corpo, a questa soluzione. La mia percezione primaria della roccia è pratica e focalizzata, e quindi non estetica, ma la mia percezione secondaria della mia percezione primaria non è non focalizzata e, quindi, estetica’’.

Gamification e il rischio della semplificazione

La possibilità di operare attivamente e in maniera critica nei confronti della propria fluidità agenziale, premessa ampliamente trattata all’interno del volume, consente comunque di orientare positivamente l’intenzionalità nei confronti dei fattori potenzialmente negativi ad essa legati. Uno degli aspetti del caso può essere sicuramente identificato nella tendenza a trasferite nella realtà aspetti motivazionali tipici del gioco. Di ciò abbiamo un pratico esempio nella “Gamification’’, ossia nell’introduzione volontaria di aspetti capaci di fornire un incipit motivazione di tipo ludico nella dimensione pratica, mediante ad esempio l’utilizzo di un sistema di ricompense o sull’acquisizione di un punteggio. Un meccanismo di questo tipo se da un lato è in grado di migliorare gli aspetti performativi legati a un determinato compito, veicolando e promuovendo un’assuefazione attentiva, dall’altro lato incoraggia la diffusione di obiettivi semplificati e quantificabili, rendendo indirettamente meno appetibile il perseguimento di obiettivi più complessi, che si intersecano non solo con il rapporto che intessiamo nei confronti della nostra identità e il nostro sistema di valori, ma anche nei confronti delle altre vite.

Se la vita ordinaria è caratterizzata dal difficile compito di conciliare fini, interessi e di bilanciare questi ultimi con gli interessi delle altre vite, il gioco propone uno spazio in cui i nostri valori, i nostri compiti e interessi solo unicamente veicolati verso l’azione pratica, in una strumentalizzazione totale e assoluta.

Un atteggiamento strumentale totalizzante orientato ad un unico fine infatti si pone in netta contrapposizione, volendo utilizzare un simbolismo kantiano, a un’idea di moralità che ascrive alla propria autorealizzazione anche il valore intrinseco delle alterità e che è dunque incapace di utilizzare le altre persone come semplici mezzi per il nostro scopo.

Questo pericolo non sta quindi nel contenuto, nella struttura narrativa legata al gioco (per quanto contenuti violenti e sessualmente espliciti possano effettivamente costituire una problematicità di tipo narrativo) ma nella tendenza depauperante che si cela nell’assuefazione alla semplicità delle regole che lo caratterizzano, e il modo in cui questa semplificazione e chiarezza possa indebolire il sistema di valori e di credenze dell’individuo. Dice Nguyen a tal proposito: “Se immaginiamo i beni della vita umana come più semplici di quanto siano in realtà, possiamo riempire la nostra vita di piaceri simili a quelli del gioco”.

Tra Fluidità Agenziale e Pensiero Riflessivo

È lecito comunque specificare quanto un impoverimento della capacità critica e una progressiva comparsa di valori semplificati non sia una esclusività legata all’ambito ludico, ma che trovi già ampliamente riscontro in una preferenza verso un sistema valoriale quantificativo e operativamente più efficiente, riscontrabile soprattutto nelle funzioni istituzionali e burocratiche, che inevitabilmente e soprattutto indirettamente, limitano e veicolano una visione della realtà volta all’ottimizzazione.

Elemento di riscatto è a questo punto la struttura fondante del “gioco sfidante” precedentemente accennato, in quanto offre un pratico strumento di resistenza, incoraggiando una visione che privilegia la riflessione sul valore del gioco.

In quanto tale, il gioco sfidante si pone in una posizione mediana né completamente immersa né totalmente alienata dall’agency che si utilizza, incoraggiando una visione estetica volta a valorizzare la fluidità agenziale stessa, la capacità di entrare e uscire da questo o quel sistema di valori, di regole, preservando inalterata la propria capacità critica. Nella sua peculiarità estetica, nella sua sottigliezza e valenza polisemantica, il gioco sfidante non solo resiste a qualsiasi forma di semplificazione ma offre anche dei vantaggi pratici, connessi alla capacità di diventare agenti “fluidi”, capaci cioè non solo di immergersi in modalità agenziali ristrette ma anche capaci di riflettere sul valore di questi stati ristretti in relazione alla propria prospettiva personale.

Conclusioni, non troppo affrettate

In conclusione il gioco per Nguyen è un’arte che non solo coinvolge la creatività, l’immaginazione e la dimensione sociale, ma è una vera propria attività volta allo sviluppo del pensiero critico. In un’epoca in cui la dimensione digitale sta acquisendo sempre più rilevanza, la sua teoria invita a riflettere sul contributo che il gioco opera nelle nostre vite, non solo come forma di intrattenimento, ma come esperienza creativa e trasformativa, in grado di avere un forte impatto sulle relazioni, la nostra identità e la nostra comprensione del mondo. L’immersività, la semplicità possono però anche rivelarsi elementi pericolosi per la formazione dell’identità e per il rapporto con i nostro sistema di valori: un sistema troppo accessibile, portatile e pronto all’uso può infatti ridurre l’autonomia e l’autocontrollo critico, così come può impoverire il bagaglio culturale e tecnico degli individui. 

Il pericolo a questo punto però, più che originato dalla dimensione ludica, sembra piuttosto insito nella risposta al carattere imprevedibile e mutevole del reale. L’uomo infatti deve obbligatoriamente cercare una mediazione tra i suoi pensieri, valori, desideri, fattori ambientali, pratici e per farlo molto spesso ricorre all’utilizzo di euristiche, ossia di strategie implicite all’individuo volte a semplificare i problemi e l’aspetto decisionale, basandosi fondamentalmente sull’intuito. Con queste premesse, sembra quasi impossibile non valorizzare la funzione pratica ed estetica del gioco sfidante che, come guida pratica alla fluidità agenziale, permette un perfezionamento della propria capacità critica e un metodo di confronto con il proprio sistema euristico.

Il tentativo di un approccio filosofico al gioco intrapreso da Nguyen risulta così fondamentale ai fini dell’esplorazione di dinamiche profonde e così fortemente intrecciate con il valore sociale e psicologico, tali da portare alla luce la forte influenza che questa attività umana opera sulla nostra costruzione identitaria e rispetto alla rappresentazione del mondo che ci circonda.

Se volete acquistare il volume lo trovate sui principali store online e sul sito dell’editore.

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Adottare una modalità alternativa di agency, per volontà del gioco, è un modo per imparare nuovi modi di essere agenti. Rinunciando per un breve periodo al pieno controllo creativo sui dettagli dell’agency che si andrà ad abitare, si possono imparare nuove forme di agency dall’interno. Questo può favorire la crescita dell’autonomia a lungo termine. Giocare non è un’intrusione di autonomia dall’esterno. Giocare è una forma volontaria di partecipazione […] è un modo per ricevere e sperimentare modalità di agency preparate da qualcun altro.” [4]

 [1] Sulla questione narrativo-ludico: https://gamestudies.org/0101/editorial.html

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