
Unico film italiano in concorso al Festival di Cannes 2025, Fuori, è il nuovo film di Mario Martone, uno dei protagonisti più raffinati e incisivi del cinema d’autore italiano contemporaneo (tra le sue principali pellicole Noi credevamo, Il giovane favoloso e Qui rido io). Liberamente ispirata al libro autobiografico L’Università di Rebibbia ed a Le certezze del dubbio di Goliarda Sapienza, la pellicola – al cinema dal 22 maggio – è ambientata nel 1980 e racconta la drammatica ma profondamente umana esperienza carceraria vissuta dalla scrittrice a seguito di un arresto per furto di gioielli.
A interpretare Goliarda è una magnetica Valeria Golino con al suo fianco una ormai matura Matilda De Angelis ed Elodie (al suo quarto film…purtroppo aggiungiamo noi!).
Fuori (dal carcere) inframezzato da flashback “dentro”.
Premesso che Fuori non è un biopic su Goliarda Sapienza, è piuttosto il tentativo di catturarne le sfumature di un’essenza (una delle molteplici) concentrandosi su uno dei momenti più controversi della sua vita: nel 1980 la scrittrice finisce in carcere per aver venduto dei gioielli rubati nell’appartamento di un’amica.
Una volta tornata in libertà, cerca di arrabattarsi come può per sfidare l’indigenza e allo stesso tempo, assecondando ritmi lontani da qualsiasi equilibrio, e continua a frequentare Roberta (Matilda De Angelis), ragazza conosciuta dietro le sbarre, delinquente abituale e attivista politica: un rapporto che nessuno, fuori, può riuscire a comprendere davvero ma grazie al quale la donna ritrova la gioia di vivere e la spinta a scrivere. Quel breve periodo a Rebibbia dunque si rivela per lei un’esperienza di rinascita.
Il film dunque alterna momenti del presente “fuori” dal carcere con flashback della protagonista del periodo di detenzione, dunque “dentro”: un espediente che permette allo spettatore di capire l’evolversi della vicenda ed i pensieri e le emozioni della protagonista. Lo spazio circostante diventa luogo sconosciuto da esplorare. Il tempo diventa un flusso disordinato che avvolge sensazioni e ricordi trasformandoli in una lacrima, in un sorriso o soltanto in una telefonata che squarcia il silenzio di una giornata afosa di una Roma umida e distratta.

Un tardivo omaggio ad una delle più importanti scrittrici italiane del secolo scorso.
Si dice spesso, a ragione, che l’Italia non è un Paese per giovani. Il nostro “Bel Paese” non è spesso nemmeno l’habitat ideale degli artisti, basti pensare le innumerevoli rivalutazioni postume che la “critica” letteraria e cinematografica ha riservato ad i nostri intellettuali. Pasolini, Totò, Goliarda Sapienza hanno in comune proprio il fatto che la loro figura è stata rivalutata (e nel caso di Goliarda) scoperta soltanto dopo la propria morte. Nel film stesso lo dice la scrittrice in una amara considerazione. Per tutto il film infatti fa la sua comparsa il manoscritto “L’arte della gioia”, capolavoro della Sapienza, la quale mentre era in vita non riuscì a farselo pubblicare, ed oggi è considerato tra le principali opere della letteratura italiana contemporanea.
Irregolare, libero, in un certo senso difforme e allucinatorio – anche grazie allo straordinario lavoro sulle luci di Paolo Carnera – Fuori è un ritorno innanzitutto, forse più che mai, ad un racconto al femminile (era successo ne L’amore molesto e in Capri Revolution proprio di Martone), ma qui ulteriormente corale, di scoperta e amicizia, di solidarietà e sorellanza.
La pellicola riesce laddove opere più regolari e lineari falliscono: da Piazza Euclide a Piazza del Popolo, dai salotti borghesi e intellettuali alla periferia di Acqua Bullicante, Fuori porta sullo schermo il disorientamento urbano e architettonico. Sono presenti suggestive inquadrature da angolazioni inconsuete e sorprendenti, prossime al cinema indipendente degli anni ‘70, insieme al dissidio concettuale abitato dalla stessa Sapienza, alternando “l’ergastolo della metropoli” alla libertà d’animo di chi, intrappolata in una società che è essa stessa galera, entra ed esce dal carcere con la stessa regolarità di un metronomo.
Paradosso che in un certo senso sembra caratterizzare il processo di visione del film stesso: rimanendo in superficie, Fuori, potrebbe apparire il semplice racconto di un’amicizia improbabile, con accenni saffici; è solo provando ad entrare realmente dentro che il fuoricampo, il non detto, il non visibile, l’impianto tutto – giocato sul sottilissimo crinale tra realtà e immaginazione, e il continuo disinteresse per un racconto “cronologico” è lì a dimostrarlo –, finiscono per depositarsi nelle coscienze, proprio come accadde un tempo con L’odore del sangue, altro film tra i meno “concilianti” e più “selvaggi” del regista partenopeo.
Ogni inquadratura, ogni cono di luce, ogni sguardo, diventa la punteggiatura di un testo assemblato con cura e amore che ci rivela la grandezza di una donna che ha sofferto per essere libera, che ha lottato per essere donna e che ha trovato la libertà nel luogo dove grate e muri non riescono a contenere le anime fragili ma agguerrite di donne incomprese che hanno perso la via (o forse l’hanno trovata). La regia, come le vite che racconta, si muove a scarti, segue un ritmo spezzato, ellittico, dove i raccordi si sfaldano e le inquadrature restano spesso sospese, laterali. Fuori è un film che respira con le sue protagoniste, inseguendole più che raccontandole. Non spiega, lascia che siano i corpi a dire, i non detti a suggerire.
Merita poi una menzione le musiche di Robert Wyatt che segna in maniera indelebile questo film, con cinque brani – tra i quali il potentissimo Little Red Riding Hood Hit The Road (da Rock Bottom, epico album, irripetibile), dilaniato da quelle incredibili sovraincisioni della tromba di Mongezi Feza, durante la scena del furto dei gioielli – utilizzati oltre alle musiche originali di Valerio Vigliar) con Memories, nella versione che non a caso incise nel ’74, solo qualche tempo dopo il drammatico incidente che lo rese paraplegico, segnando al contempo l’inizio di una nuova fase non solo umana, ma artistica.
Proprio come accadde a Goliarda Sapienza, dopo l’esperienza carceraria.

Le prove attoriali delle 3 figure femminili del film.
In Fuori emerge con strafottenza quasi selvatica è allora la prova di una struggente Matilda De Angelis: la sua Roberta quasi pasoliniana, eroinomane disperata eppur vitalissima, sorta di immaginifico e carnalissimo angelo custode di corrispondenze corsare che, solo nel finale, capiremo quale futuro assegneranno all’amica Goliarda.
In quel fantasmatico commiato, sulla banchina della stazione Termini, scorrono le possibili e intangibili traiettorie di un abbraccio che fisicamente si era risolto solo qualche minuto poc’anzi e che poco dopo sembra svanire nel nulla ma che in realtà, spiritualmente, sarà lungo per sempre: quello tra una scrittrice aliena alla conformità del mondo che abitava e il grido della vita nella sua forma più ferina e inclassificabile. Che di norma viene invece soffocato, e recluso.
Se dunque la prova attoriale di Matilde De Angelis convince, non è da meno l’interpretazione di Valeria Golino, tra le più conosciute attrici italiane nel mondo, la quale attraverso un tono della voce molto simile a Goliarda Sapienza ci regala un’immagine quanto mai realistica della scrittrice, della quale possiamo apprezzare nei titoli di coda lo straordinario confronto dialettico che ebbe a metà degli anni ’80 con Enzo Biagi che la intervistava proprio in tema di carceri.
Unico neo del film è invece Elodie, la cui performance, anche canora, lascia molto a desiderare. Certamente la cantante ha avuto il coraggio di confrontarsi con due attrici di livello come la Golino e la De Angelis in un dei principali film italiano del 2025, ma ne esce letteralmente “a pezzi”. Si nota infatti, proprio perché accanto ha professioniste della recitazione, il livello piuttosto basso della sua prova, segno che di strada, almeno del mondo del cinema ne deve ancora fare. Non faremo qui discorsi qualunquisti sul fatto che attrici, anche emergenti, meriterebbero più di Lei un ruolo, ma tant’è, nel cinema oggi (ma anche in passato vedasi le discutibili interpretazioni di Madonna), se sei già famoso avrai con più probabilità delle possibilità perché innegabilmente attiri più pubblico.
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