
Arriva il prossimo 25 aprile nelle nostre sale Ezra (In viaggio con mio figlio), con discreto ritardo in quanto è stato presentato già a settembre 2023 al Festival di Toronto. Su Penna Di Corvo siamo restii a farci trascinare in giudizi affrettati e seguendo le tendenze del momento, e difficilmente ci lasciamo andare a recensioni tranchant cercando sempre il giusto equilibrio e l’oggettività, tuttavia faremo un’eccezione per questo film, che seppur non un capolavoro, è stato ben realizzato e vanta un cast notevole (da Robert de Niro a Bobby Cannavale passando per le comparsate di Whoppi Goldberg e Vera Farmiga). Un gioiellino capace di trattare il tema dell’autismo con il giusto mix di ironia e drammaticità senza mai scadere nella banalità, nella retorica e nel pietismo.
La trama: un on the road tra un padre in crisi di nervi ed un figlio affetto da autismo.
Max (uno straordinario Bobby Cannavale) è un padre separato con un figlio autistico di undici anni di nome Ezra ( un realistico William Fitzgerald purtroppo realmente afflitto da questa malattia) da gestire insieme alla sua ex moglie Jenna. Fa lo stand-up comedian, ma la sua carriera non decolla viste anche le sue insicurezze e la sua rabbia sempre pronta a scattare. Ezra viene espulso da scuola, poi rischia di rimanere ucciso dalla sua impulsività ed il “sistema” vorrebbe curarlo (e relegarlo) attraverso farmaci psicotici e un istituto ad hoc. Max non ci sta, e decide di portarlo via con sé in un viaggio attraverso l’America rurale da costa a costa. Nel percorso padre e figlio matureranno ed il loro rapporto si cementerà sempre di più nonostante momenti non idilliaci e le difficoltà del disturbo di Ezra.

L’autismo ed il cinema: un binomio importante
La parola autismo deriva dal greco “autòs”, che significa “se stesso”, per enfatizzare la relativa mancanza di iniziativa verso l’interazione sociale da parte di chi ne è affetto, in forme più o meno gravi. Il cinema si è spesso interessato al tema per sensibilizzare la comunità in modo da integrare per quanto possibile coloro che ne sono affetti. Di solito siamo spaventati da ciò che non conosciamo e dunque più ne sappiamo più siamo in grado di approcciarci al problema. E’ lo stesso approccio avuto per l’AIDS che era visto come qualcosa da nascondere e chi ne era affetto doveva solo essere evitato, come ci racconta Philadelphia (1994).
Innumerevoli sono dunque gli esempi di film concentrati su un protagonista affetto da tale sindrome: si va dal capolavoro Rain Main del 1988 (dove riesce ad essere credibile come attore perfino Tom Cruise!), a Mi chiamo Sam (2001) con uno superbo Sean Penn passando per Codice Mercury (1998).
Anche in Italia sono stati realizzati recentemente lungometraggi di buona fattura a riguardo, quali Quanto Basta (2018) e Tutto il mio folle amore (2019) di Salvadores. Ezra riesce a trattare dell’autismo facendo conoscere allo spettatore di cosa si tratta senza scendere in particolari medici né rimanendo sulla superficie.
La scelta del padre di portare via con sé il bambino nasce dal desiderio del genitore di sottrarre il figlio ai metodi di cura (o meglio di contenimento della malattia perchè ahimè non si guarisce) che il “sistema” prevede: medicine e scuole speciali. Il film mostra come il bambino sembri migliorare soprattutto a contatto con la natura e gli animali ma non ci sono scelte giuste o sbagliate.
Agli occhi dello spettatore i “cattivi” sarebbero i medici e la madre del piccolo, che vorrebbero relegarlo e contenere i suoi comportamenti in luoghi ed in routine ben definite. In realtà chi conosce bene ciò di cui parliamo probabilmente storcerà la bocca quando vedrà che Ezra, uscito dalla sua comfort zone e dai suoi rituali, non vivrà in maniera eccessivamente stressante ed ansiogena il viaggio che il padre gli impone sottraendolo alla legittima custodia della madre.

Un focus sui personaggi: le convincenti prove di Bobby Cannavale e Robert de Niro.
Non possiamo non parlarvi delle due grandi interpretazioni del film, oltre ovviamente a quelle del bambino William Fitzgerald che purtroppo soffre di tale sindrome. Bobby Cannavale è appunto il padre Max, e dai tempi di Ally McBeal ne ha fatta di strada vantando una filmografia di tutto rispetto ed a quasi 55 anni possiamo dire abbia raggiunto la maturità artistica. Il personaggio che interpreta possiede una profondità (ed a tratti un’ambiguità) che non si rivela subito, ma via via che il viaggio intrapreso con il figlio prosegue. Potrebbe essere l’eroe del film, quello che salva il figlio da “quelli che ben pensano” (ok risentitevi Frankie hi-nrg mc ve lo concedo!) e prova a “guarirlo” con metodi alternativi.
Invece è un vero antieroe, e come tutte le figure in tal senso gli elementi ci sono tutti: la sua vita va a rotoli perchè è divorziato e la moglie sta con uno uomo realizzato (il classico avvocato str*nzo interpretato dallo stesso regista del film, Tony Goldwyn, che dai tempi di Ghost del 1990 interpreta ruoli così, sarà la faccia!). Inoltre il suo lavoro non decolla e nonostante la sua età ancora insegue sogni di successo come stand-up comedian. Vive ancora con il padre, Robert de Niro di cui parleremo a breve, e soprattutto ha un caratteraccio: è rabbioso, impulsivo, vulnerabile e trasmette il il senso di smarrimento di un maschio imperfetto che ha messo in discussione ogni modello. Inoltre come detto sembra il salvatore di suo figlio ma non lo è. Lui non è un buon padre in definitiva sia pur animato da nobili intenzioni.
Con il gesto di portare il bambino con sé mette a rischio la salute (soprattutto mentale) del piccolo e non lo fa solo per quest’ultimo ma per lui stesso. Ezra è una linfa vitale, lo aiuta “a restare con i piedi per terra”, e se lo porta agli spettacoli dove si esibisce in un ambiente che non è certo ideale per un undicenne (peggio ancora se autistico). Ezra seve più a lui di quanto (forse) serva la sua figura al figlio. “Non voglio che sia nel mondo, voglio che sia nel mio!” è una delle battute clou del film che Cannavale pronuncia con uno strazio trattenuto davvero commovente. Non c’è traccia di retorica, neanche quando si evidenzia come sia da combattere non tanto la realtà, quanto la rabbia che genera.

Se Cannavale è stato molto bravo, De Niro lo è ancora di più perchè riesce in poche scene a caratterizzare il suo personaggio e conferisce al film, da solo, momenti di comicità che danno alla pellicola anche toni più leggeri facendo in modo che non sia soltanto un film drammatico. De Niro interpreta Stan Brandel, il nonno di Ezra e padre di Max.
Il film ce lo presenta in maniera ironica, quasi una macchietta. Egli è uno chef fallito, piuttosto rude, manesco, scorretto (gira con un pass per invalidi che non può spettargli), convinto che tutti gli abbiano rubato qualcosa (esilaranti le scene in cui insiste su una padella a suo dire rubatagli che si riprenderà con la forza).
Quando però il figlio “rapisce” il nipote, la profondità e lo spessore emerge ad ogni fotogramma sia nei rapporti con la nuora, sia quando rivede Max e gli dà il coraggio di andare avanti nel viaggio, che pur se “folle”, ha lo scopo di cementare il rapporto di Ezra con il genitore e di non “condannarlo” ad una vita dove deve cercare di essere “normale” ed accettabile dagli altri.
Il rapporto tra Max ed il padre evidenzia il profondo dolore del primo per l’abbandono della madre quando era piccolo e lui per questo si è sempre colpevolizzato. La grande del personaggio di De Niro è quella di tirar fuori al momento opportuno tutta la drammaticità che serve quando confessa a Max che la moglie lo ha lasciato solo per colpa sua e che lui non ha avuto il coraggio di affrontare la vita come sta facendo il figlio (sia pur con metodi discutibili).
Un ruolo così sfaccettato è nuovo per De Niro, che nella sua lunga e straordinaria carriera ha avuto interpretazioni di spessore e da protagonista quasi esclusivamente drammatiche, oppure quando si è buttato nelle commedie i suoi personaggi non erano altro che lo scimmiottamento di quanto fatto in precedenza (Terapia e pallottole, Un boss sotto stress oppure la trilogia di Ti presento i miei).
Non parliamo poi dei punti più bassi della sua filmografia dove è appunto un nonno (Nonno scatenato del 2016 e Nonno questa volta è guerra del 2020). Invece Bob vive attualmente una seconda (o terza, vista l’età) giovinezza ed è ancora (giustamente) richiesto da Hollywood (molto più degli altri “mostri sacri” quasi suoi coetanei quali Al Pacino, Dustin Hoffman e Jack Nicholson). Negli ultimi 6 anni ha preso parti a film importanti quali Joker (2019), The Irishman (2019) e Killers of the Flower Moon (2023) entrambi di Scorsese e sembra inossidabile. Meglio così perchè un comprimario come lui nobilita pellicole donando il giusto registro e spessore.
Promosso a pieni voti: andate a vederlo!
Non ci resta dunque che invitarvi caldamente a visionare il film che uscirà nelle sale il 25 aprile e possibilmente in versione originale per carpirne tutte le sfumature nelle voci dei protagonisti e di in particolare del bambino Ezra. Buona visione!