LA COLLANA “SPERIMENTALE”
Ok, superiamo la fase “Il color è una collana sperimentale”, perché questa cosa oltre ad averla ribadita anche il buon Sclavi lo hanno capito anche i muri, a parte chi ha la testa più dura di un mulo. Supero facilmente anche la diatriba “questi disegni fanno c…..” , “mio figlio li fa meglio” , “ecc…” perché personalmente pagherei oro solo per sapere disegnare anche la metà di così.
Rispetto totalmente chi non gradisce questo tipo di pubblicazioni perché possibilmente cerca altro e il color non viaggia nella sua “confort zone”.
TRE STORIE “VISIONARIE”
Parliamo allora delle storie integrate in tutto e per tutto alle immagini, perché se tutte le collane di Dylan lavorano per immagini ma sono aiutate molto dai baloon e dalle didascalie in maniera paritaria, il color è una collana che fa di immagini e colori il perno centrale e baloon e didascalie diventino marginali, quasi accessorie. Sono le immagini che raccontano la storia e bucano la mente con l’emotività, che molte volte, essendo una saga horror, portano al disgusto, allo straniamento, al fastidio, che mai come in questi casi è ricercato.
È da come si sono levati gli scudi contro per me il color numero 40 ha fatto pieno centro! Già dalla copertina dell’eccezionale Ambra Garlaschelli che invita il lettore a guardare le immagini in religioso silenzio, magnifica presentazione dell’irrealtà e dell’horror che andremo a scoprire fra poco.
LA COLAZIONE DEI CAMPIONI – OFFICINA INFERNALE
Si entra subito a regime con la storia di Officina Infernale che prende tutti i canoni dylandoghiani, li sottomette alla sua filosofia, li esaspera e li restituisce con una chiave di lettura stravolta, ma che non manca per nulla della filosofia del mondo Dylaniato. La sua assistente è una versione di Groucho che alza il livello del rapporto che c’è fra i due, dal servile, al sarcastico, al morale. Officina Infernale in poche battute c’entra il rapporto Dylan/Groucho meglio di come hanno fatto tanti autori navigati senza neanche la presenza del baffone. Non parliamo come ristruttura il rapporto fra Dylan e Madame Trelkovski, che fino alla fine è accompagnata da quell’aura di grigiore e morte che contrasta col colore di Dylan. I due si amalgamano solo nella scena di sesso più esplicativa, senza far vedere quasi nulla, degli ultimi anni in cui le differenze fra i due, prima così marcate, vengono del tutto annullate. Ma la cosa che mi ha colpito di più è come vengono rappresentati i pensieri e i demoni di Dylan, attraverso delle fugaci immagini di violenza fra un suo pensiero e un altro, che accompagnano costantemente la sua vita senza mai lasciarlo solo. Fantastico.
LA CASA DELLO SPLATTER
Si passa poi alla storia di Spugna, è qui a maggior ragione le parole non servono più a nulla. La vicenda è un grande videogioco a più livelli, grottesco, irreale, violento, un contrasto esasperante fra un Dylan simil Jacovitti e una violenza che viaggia sul limite del disgusto che trasmette ogni singola immagine. Un horror grottesco che racconta solo attraverso immagini ed emozioni.
IL TEATRO DEI DEMONI
Alla fine troviamo Jacopo Starace che mostra a Dylan, in una delle sue poche scene di consapevolezza di essere solo un personaggio, alle prese con un pubblico che lo detesta e lo critica se esce fuori dal canone della sua storia e di quello che lo stesso pubblico si aspetta. Vi ricorda qualcosa?
Il color è quella collana che prende i tuoi sogni, ci monta sopra, te li destabilizza e ti ritorna tanti cazzotti nello stomaco che ti lascia a terra stremato. Sta a voi decidere se piace farvi menare emotivamente o meno.
Un grazie dallo staff di Penna di Corvo per averci permesso la pubblicazione di questa bellissima analisi.