Il numero di Dylan Dog di cui andiamo a parlare oggi è eccezionale per diversi motivi. Innanzitutto trattasi di un albo “bis”, e aggiunge cosi una ulteriore lettura nel mese di luglio dove, si sa, si tende a leggere più fumetti (parola di SBE).
Medesima operazione editoriale è stata effettuata anche su altre testate, inondando le edicole di fumetti in questo periodo estivo.
COPERTINA
Se l’albo è bis, la copertina non raddoppia (come era invece successo nel precedente albo). La splendida cover di Gigi Cavenago ci anticipa in parte cosa troveremo tra le pagine. I toni freddi della parte bassa, rispetto a quelli caldi della parte alta preannunciano un distacco e capovolgimento della realtà.
UNA RAGAZZA SCOMPARSA
L’incipit della storia è uno dei più classici della tradizione Dylandoghiana: una madre si reca dall’Indagatore dell’Incubo poiché sua figlia e scomparsa. Questa ha però ricevuto delle cartoline con la foto della figlia e recanti sul retro solo un indirizzo. Tutte le lettere provengono da Qwertyngton, città Gallese. Fin qui tutto bene, se non fosse che la città non esiste! O meglio, si verificano discordanze circa la sua posizione consultando diverse mappe e/o dispositivi di geolocalizzazione.
L’EREDITA’ DI SCLAVI
Dylan decide quindi di avviare la propria indagine, nell’unico modo possibile: decide di recarsi insieme al suo assistente nella città gallese. Il legame con le storie sclaviane di questo tipo è sottolineato a pag. 8, dove Dylan menziona una sua indagine a “Llanfairpwllgwyngyllgogerychwyrndrobwllllantysiliogogogoch“, nell’albo “Lassù qualcuno di chiama”. Quella volta, però, il piccolo paese del Galles fu protagonista di uno degli episodi della celeberrima “Trilogia aliena”.
Le prime avvisaglie di discordanza con la realtà iniziano a notarsi a pag. 14, quando un campo lungo ci mostra una rotonda stradale degna della più alta follia umana, dalla quale un povero malcapitato non riesce ad uscire. Il pacchetto di sigarette che ci viene mostrato all’interno della sua vettura è una conferma: benvenuti nell’oblio (Oblivion,appunto).
MA SO TUTTI STRANI ‘STI PAESINI?
La domanda, ad un certo punto, sembra quasi spontanea. E’ però vero che realtà cosi isolate (perlomeno prima dell’avvento di internet), ben si prestavano alla narrazione horror. In un certo senso l’ambientare storie nell’entroterra gallese fu una rielaborazione di Sclavi del folk horror , tenendo però conto che Dylan non poteva affrontare viaggi transoceanici a causa del suo mal di mare. La scelta del Galles, per ambientare questo tipo di storie, ne fu la più ovvia conseguenza.
OBLIVION
La discesa nell’oblio e nell’apparente follia si fa sempre più forte. Dall’apparizione di doppioni degli abitanti, ad altri che non riescono a morire, passando per delle inquiete chiese di culto (pag.42) chiaro rimando a sette esoteriche di divinità oscure (Cthulhu di H.P. Lovercraft, palesemente).
Le ricerche effettuate da Dylan nella libreria di paese infittisce ancor di più il mistero, quando scopre che la maggior parte dei testi a lui proposti sono stati redatti da suoi quasi-omonimi: Deelan Dodge,Dailan Doggh (Bree :sigh:), Dylan Dodge…e cosi via.
UN RIFUGIO DALL’ORRORE DELLA REALTA’
La storia ci porta a capire che i suoi personaggi sono persone ferite nella vita reale, ed hanno trovato in Qwertyngton e nelle sue stramberie un rifugio. Le anomalie della città sono poco più di un grande gioco di follia, tali soltanto finché non ne capisci il meccanismo (come dirà fin dalle prime pagine la barista, Diana). Gli accadimenti, anche i più surreali ed apparentemente senza senso, ne hanno uno più profondo e personale. Bisogna scendere verso il fondo per comprenderlo.
In questo Vanzella è magistrale: riesce a nascondere sotto più livelli il significato delle azioni dei folli abitanti della cittadina. Ma un senso vero c’è, e viene svelato man mano nella storia.
Ogni azione folle, è un modo di evasione dalla realtà, e di avvicinamento al centro gravitazionale della follia di Qwertyngton. Un enorme magnete che attrae a se le anime di chi è vittima della vita reale.
POSSIBILE COLLEGAMENTO A “JENNY”?
Fatte queste considerazioni, è giusto pensare: la Jennifer di questo albo bis, è riconducibile alla Jenny dell’albo420 in edicola tra il 31 agosto? A leggere il testo della canzone di Vasco Rossi del 1978 contenuta nell’album “…Ma cosa vuoi che sia una canzone…” potrebbe trattarsi proprio di lei. Datemi del visionario, ma mi piace lasciarvi con dei collegamenti tra questa Jennifer e quella di Vasco Rossi.
“Jenny non vuol più parlare”: a pag. 25 la stessa esordisce nell’albo con: “Vattene, non voglio parlare”;
“Io che l’ho vista piangere, Di gioia e ridere, Che più di lei la vita Credo mai nessuno amò”: il parallelo con il passato di Jennifer raccontato a pag. 83 ricorda molto il verso di Vasco;
“Jenny non può più restare Portatela via Rovina il morale alla gente Jenny sta bene è lontano… la curano Forse potrà anche guarire un giorno. Jenny è pazza”: questo verso, più del precedente, calza a pennello con la storia del 418bis senza dover spiegare ulteriormente il perché.
I DISEGNI DI LUCA GENOVESE
I disegni di genovese, realistici in contrapposizione all’irrealtà del posto ove la storia è ambientata, sono al di sopra di ogni schema. Come enunciato da Recchioni nell’editoriale di inizio albo “La forza del suo stile è nella linea sempre dinamica, messa al servizio di un realismo che si pone, però, l’obiettivo di trascendere la realtà per arrivare all’essenza delle cose. Come mi è capitato più volte di dire, Luca Genovese è fumetto puro.” Parole migliori non potevano essere usate.
Oltre che alla serie robotica Beta citata da Recchioni, vi consiglio di recuperare anche Luigi Tenco: una voce fuori campo, ad opera dello stesso duo Vanzella-Genovese.
Ci leggiamo alla prossima,
Marcello