Dylan Dog 416 “Il detenuto”

L’albo di cui andremo a parlare oggi è un numero tanto atteso e che, per molti versi, rappresenterà per i tempi a venire un caposaldo della testata.

Innanzitutto è il primo albo con il tanto discusso e malvoluto aumento di prezzo (ne parlano qui i ragazzi di fumettologica). Abbiamo deciso di non entrare mai nel merito, ne di dedicare post al riguardo, poiché le dinamiche dietro questi aumenti sono innumerevoli e troppo ostici da trattare su un piccolo blog come il nostro.

Cosi come per gli altri albi in edicola in occasione dell’Ottantennale di SBE, la copertina è ridotta ai minimi termini, dando massima centralità al personaggio delle testate interessate. Peccato, perchè siamo sicuri che il copertinista Cavenago avrebbe creato qualcosa di claustrofobico per rappresentare al meglio l’episodio.

IL NERO ASSOLUTO DI ARTURO LAURIA

Tanto atteso dal sottoscritto, l’esordio ai disegni di Arturo Lauria, artista di grandissime doti, sul quale il curatore Roberto Recchioni si è più volte pronunciato, definendolo come “la scommessa futura per la testata”. Dicevo tanto atteso dal sottoscritto poiché da tempo devoto seguace del giovane lucano che, seppur apparso su Dylan Dog solo per la copertina di un Color Fest.

…ha tuttavia un attivo profilo social sul quale riversa i suoi bellissimi lavori caratterizzati dalla predominanza del nero quantico, scalfito con forze ultra-dimensionali e dal quale fuoriesce il bianco assoluto, creando contrasti e giochi di ombre/luci di forte impatto emotivo ed artistico.

Fan della prima ora di Elon Musk, ed appassionato di fisica ed di tutto ciò che circonda il nostro pianeta, ha dedicato al patron di Tesla e SpaceX svariati lavori, sui quali si denota la sua piena appartenenza al mondo CyberPunk. Non è certo una novità: le sue illustrazioni per il volume di COLONUS meriterebbero lunghe digressioni, oltre che una serie di sequel ad esso dedicati.

Lauria riversa tutto il suo mondo nelle pagine de “Il detenuto”, trasformando la cella in cui è rinchiuso Dylan in una ipotetico settore dell’astronave Nostromo di Alien. Cosi come le luci dei corridoi, il pavimento metallico da cui ci piace immaginare di udire i passi lontani dello Xenomorpho.

Le ombre, le luci, l’utilizzo del nero scalfito dal bianco rende la cella un posto ultradimensionale, nel quale Dylan perde ogni certezza, tanto da sentirsi perso nell’immensità dell’universo (pag.48).

Un’esperienza ultraterrena che calerà il lettore negli abissi profondi della prigionia mentale e fisica, perfettamente rappresentata dalle alternanze di ombre e luci, e dai mostri che scaturiscono dalla follia dell’isolamento.

In attesa del prossimo Color Fest che vedrà di nuovo ai disegni Lauria, non possiamo che augurarci innumerevoli futuri numeri di Dylan alle matite del giovane talento lucano, magari anche in ambientazioni a lui più calzanti come l’universo di Nathan Never, o per pubblicazioni d’oltreoceano dove siamo sicuri porterà alta la bandiera di Spac…ehm.. dell’Italia!

TRAMA E SOGGETTO

Il soggetto di Mauro Uzzeo vede l’Indagatore dell’Incubo in una classica situazione narrativa: il protagonista è ingiustamente imprigionato da due agenti di polizia, intenti a vessare il senzatetto di turno (in cui si è auto referenziato Lauria).

L’aspetto degli agenti, un misto tra rettiliani e zombie, cala la narrazione fin da subito in territori orrorifici e di stacco dalla realtà. Le divise stesse, sono ben diverse da quelle ordinarie dei bobby di quartiere, e ricordano quelle di totalitarismi passati o fantastici (mi viene da pensare a The Man in the high castle o ad un cadetto dell’universo narrativo di Judge Dredd – e qui ritorniamo al cyberpunk Lauriano).

La claustrofobia di cui soffre Dylan non aiuta di certo nelle condizioni in cui versa: nell’oscura prigione in cui si ritrova le pareti sembrano stringersi sempre di più fino a farne poltiglia ed annullarne la volontà (pagg. 28-30).

La narrazione di Uzzeo è piena di riferimenti e connessioni (più o meno esplicite) ad altre opere ed autori, magnificamente delineate da Lorenzo Barberis  sul suo bellissimo blog.

Consiglio una spulciata al blog di Lorenzo per assaporare appieno tutti i riferimenti narrativi di cui Uzzeo è maestro, denotandogli una grande conoscenza dello scindibile umano ed una grande padronanza della scrittura come già noto ai lettori Dylaniati e de “Il confine”.

RIFLESSIONE PERSONALE

La citazione di Lauria del Prisoner 709 di Caparezza (pag.87), e del suo ” Dal fine dell’hi-fi, alla fine pena mai”, la frase di pag. 90 “Non deve esistere una prigione per cui non sia prevista un’uscita”, e il volto di Dylan inizialmente concepito tumefatto (e successivamente oscurato) ci lascia intendere che la vicenda è strettamente collegata ai tragici fatti di cronaca che videro coinvolti la famiglia Cucchi e le forze dell’ordine.

Un tema forte quello affrontato in questo albo. Una storia coraggiosa e ben scritta. Siamo ai livelli di Sclavi, sia per citazionismo che per complessità e forza dei temi trattati. I disegni, come dicevo, sono estremamente sperimentali ma allo stesso tempo popolari. Un albo, non mi stancherò di ripeterlo, che ricorderemo sicuramente e che entra di diritto tra i MUST HAVE per i nuovi (e vecchi) lettori Dylandoghiani.

 

A presto,

Marcello

 

/ 5
Grazie per aver votato!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.