Salerno. Un bel dì d’un mese non meglio specificato, mi aggiro su Instagram con fare estremamente svogliato. Scrollo, scrollo, scrollo. Ad un certo punto si para davanti a me un reel di una canzone che “raccontava” del quartiere Pastena tramite Google Maps. Divertito, invio il video ai miei amici di Pastena. L’account era Brigate Morte.
Seguo la pagina e scopro che tratta in maniera goliardica diverse zone salernitane. Attendo con ansia l’uscita della “mia” Matierno. Quando ascolto la canzone, non posso fare a meno di notare quanto sia vera. Soprattutto, mi incuriosisce il cambio di stile dell’artista. Dunque, inizio ad informarmi e a restare vigile sull’argomento.
Ad ottobre 2024, sbam, su Spotify sbarca l’album (il secondo) delle Brigate Morte: Pesc(ep)esce. Lo divoro, in loop, giorni su giorni. Fino ad invadere l’area musicale (io mi occupo di cinema) di Pennadicorvo, con un’intervista al “gruppo” e una piccola recensione dell’ep. Ed eccoci qui.
Intro: Brigate Morte
Le Brigate Morte si distinguono per la produzione musicale e artistica, utilizzando l’intelligenza artificiale per creare brani e materiali visivi. Fondato come progetto di un singolo, il gruppo si è poi esteso. Con un approccio provocatorio e indipendente, il nome “Brigate Morte” evoca uno spirito di ribellione e si ispira ai conflitti contemporanei tra le major discografiche e le nuove tecnologie. Fortemente radicate a Salerno, le Brigate Morte portano avanti un discorso che sfida il concetto tradizionale di autenticità musicale, sostenendo la democratizzazione della creazione artistica tramite IA.
L’intervista
Chi sono le Brigate Morte?
Vorrei tanto saperlo anche io.
Non di certo un gruppo musicale, questo è poco ma sicuro. Produciamo musica, ma occupandoci anche di tutto ciò che vi orbita intorno e inoltre siamo strutturati in maniera del tutto diversa rispetto ad una band.
Chi vi scrive in questo momento è Johnny Scuorno, quello che si occupa del lato generazione tramite Intelligenza Artificiale dei brani e della produzione dei materiali grafici e video.
Poi c’è Rocco Cocchia, il Social Media Manager più inzevato di Salerno, anch’egli estremamente appassionato di musica. Rocco possiede inoltre una grande predisposizione per i meme e per le scemità in generale, cosa che a dire il vero, accomuna un po’ tutti nel gruppo.
Princi F€$$@ invece è la nostra Digital Specialist e fa tutte quelle cose che in genere gli altri non tengono in cuorpo di fare (come ad esempio mettersi a studiare i contratti). Non solo, ma si occupa anche della revisione dei contenuti. Spesso quando scrivo (ne sono consapevole) perdo il senso e la misura e necessito di qualcuno che mi costringa ad evitare un passaggio o due per ridurre il rischio di essere denunciati (cosa che già ci è capitata). A volte mi vatte, ma al di là del fatto che faccia bene a farlo, la cosa non mi dispiace eccessivamente.
E infine c’è Kiav Hata. Io non so descrivere quanto lo adoro, perché non fa assolutamente nulla ed è dentro al gruppo per senso di rivalsa, con la qualifica di “ragazzo immagine”. Tenete presente quel ragazzino che veniva preso in giro alle elementari urlandogli contro “Chiattò, cheré? T’è magnat’ ‘a Professoressa?” Ebbene, oggi è un figo della Madonna, tutto muscoloso, chiava come il pazzo, sta abbuffato di soldi e voi dovete solo schiattare. Inoltre, da quello che mi dicono, tiene pure un bel pesce.
Dire però che Rocco, Princi e Kiav facciano solo questo sarebbe un po’ sminuente: è inutile sottolineare come io sia particolarmente legato a loro e il contributo più importante me lo danno facendo sì che ci sia continuo scambio di idee. Molti pezzi li ho scritti con il loro aiuto o ispirandomi a questioni che li riguardano da vicino.
Questi potremmo dire che sono i componenti storici della nostra Direzione Strategica, ma in realtà da mesi oramai, diversi amici (vecchi e nuovi), ci aiutano dandoci un loro personale contributo, che possa essere un passaggio, uno spazio dove esibirci, lo spunto per un’idea. Mai soldi, non sia mai, c’è crisi.
Per quanto mi riguarda, Brigate Morte è una Community, quindi per ora siamo circa in 12 mila.
Qual è il significato del nome “Brigate Morte” e come si collega alla vostra musica?
Beh, che dire, il riferimento al movimento terroristico degli anni ’70 e ’80 mi sembra abbastanza palese, con le dovute differenze di metodologie. Credimi, devo specificarlo ogni volta perché sono stato additato come terrorista. Io che nella vita le mazzate le ho sempre e solo prese, ma vabbè. Mi appassiona molto la storia della Prima Repubblica e il periodo degli Anni di Piombo ha su di me un fascino storico che nessun altro evento può vantare di avere. Forse però ciò che condivido realmente con quel periodo è qualcosa di più legato all’attitudine.
Ad oggi è in corso una vera e propria guerra ai servizi online che offrono strumenti di generazione utilizzando l’IA da parte delle major discografiche americane. In particolare mi riferisco a Universal Music Group, Warner Records e Sony Music, le quali hanno denunciato Suno e Udio perché avrebbero utilizzato il loro materiale per addestrare illegalmente i propri modelli.
Non solo credo sia illogico parlare di “addestramento illegale”, ma il messaggio che le major vogliono far passare è che, di questo passo, il mercato musicale ne uscirà distrutto. Tralasciando che chi plagia non si meriterebbe neanche l’acqua potabile, a me la questione pare molto chiara: le così dette “Big Three” sono molto preoccupate per il mercato, il loro s’intende, minacciato da questa malvagia democratizzazione musicale che, come detto da Francesco Bianconi (Tintoria, Episodio n. 218 – recuperabile qui, n.d.r.) “spazzerà via molta mediocrità”, previsione questa che mi sento di abbracciare totalmente. Sono convinto che, laddove il mercato musicale dovesse realmente diventare sovrasaturo, fare “altro” diventerà imperativo.
È in questo scenario che mi piace vedere collocate le Brigate Morte: non si tratta di attentare al buon gusto, quella della dialettica è una cassa di risonanza. Il nostro è un personalissimo attentato al mercato musicale e forse, sotto sotto, un po’ terroristi lo siamo davvero.
Quali sono le principali influenze musicali che ispirano il vostro progetto?
Come dicevamo anche prima, le idee sono condivise all’interno del gruppo, quindi ogni brano consiste in una sorta di ibrido. E in conseguenza di questo, non mi sento neanche di dire che abbiamo un genere di riferimento. Si potrebbe dire che facciamo Rock, ma se pensi ad un brano come “Uno, ddoje, tre e quatt” (qui il brano, n.d.r.), capisci che doveva obbligatoriamente essere una mazurca. Per me è più che altro una questione di contesto.
Uno dei miei album preferiti è “La Aventura de las Plantas” di Joël Fajerman, la colonna sonora di una serie tv sulla botanica andata in onda negli anni ’80. Insomma, non c’entra assolutamente nulla con le Brigate Morte, ma credo che ogni piccola questione vada poi a influenzare il modo in cui percepiamo le cose.
Forse tra i personaggi che vedo più collegati per un motivo o per un altro ci sono autori come Jack Stauber, Will Wood e IDLES. Se mi chiedi in che modo, non ne ho la più pallida idea, è una cosa che avverto a pelle. Di certo il gruppo a cui pensavo molto all’inizio erano i The Residents, non solo per la questione dell’anonimato, ma soprattutto per l’atteggiamento nei confronti della composizione musicale. Poi vabbè, ci sono gruppi come Squallor, GemBoy ed Elio e le Storie Tese che per noi sono continui baluardi d’ispirazione e punti di riferimento.
Ovviamente è inutile dire che, da bravi Salernitani, Gianfranco Marziano rimane per noi un punto di riferimento inequivocabile, soprattutto per la maniera che ha sempre avuto di descrivere la città. Mi dispiace tanto non sia più attivo da tempo, perché ho come l’impressione che la gente ne abbia ancora molto bisogno, ma mai dire mai.
Come è nata l’idea di creare musica utilizzando l’Intelligenza Artificiale?
Brigate Morte è un progetto nato esclusivamente come mia personalissima valvola di sfogo. Di certo nel tempo si è “ristrutturato”, ma la prerogativa rimane la stessa e se non ci fosse stato il seguito che abbiamo avuto oggi, avrei comunque continuato a farlo. Per me è terapeutico. Mi sono trovato ad un certo punto davanti alla scelta di andare via da Salerno e rimane un’eventualità purtroppo ancora molto attuale. Il fatto di dover lasciare la mia città non per mia volontà, ma per necessità, come hanno fatto tante altre persone che conosco e a cui voglio bene, mi spaventa (forse eccessivamente) perché vi sono molto legato. Per questo sto puntando molte risorse su questo progetto: è il mio modo di portarmi appresso Salerno, anche se sarò costretto a farmi le passeggiate su Google Maps.
Avete ricevuto critiche da parte di chi pensa che la musica creata con l’IA sia meno autentica? Come rispondete a questo tipo di critiche?
Ti stupirà sapere (almeno per me è stato così) che al contrario abbiamo ricevuto per la maggior parte molti apprezzamenti in merito alla maniera in cui produciamo. Certo è che ci sono ancora molti limiti tecnici, ma credo sia verosimile dire che saranno superati in 2 anni o forse meno. Anche se, devo dirti la verità, a me della qualità del suono interessa fino ad un certo punto: una canzone di merda che suona bene, rimane una canzone di merda. E te lo dice uno che di canzoni così ne fa tante. Qualche critica diretta c’è stata, ma sono solo state considerazioni sull’IA in generale, segno forse che il discorso che vogliamo portare avanti potrebbe anche essere un po’ prematuro.
Per farti un’esempio, all’inizio ricevemmo su Instagram un commento lunghissimo da parte di un utente che non aveva nemmeno capito che tutto il disco era fatto solo con l’IA. Non sapevo se ridere o piangere.
Tutto ciò che di negativo ci è arrivato (mai direttamente) è per di più legato a pregiudizi che, almeno così è capitato a me, arrivano da chi millanta di non averne. Alcuni musicisti hanno preso le distanze dal nostro progetto e qualcuno mi ha anche suggerito di “non coinvolgere artisti o cantanti” in quello che facciamo. Credo sia tutto sintomo di un timore iniziale nei confronti di qualcosa di (relativamente) nuovo. È comprensibile ma non giustificabile, perché l’autenticità di qualcosa non credo derivi esclusivamente dallo strumento che si utilizza.
La questione alla quale generalmente ci si appella è che chi usa l’IA sta attingendo a brani che non ha fatto, un po’ come se stesse rubando. In parte è vero, siamo dei saccheggiatori, ma non capisco perché ci si indigni così tanto per una cosa che il remix o il mash-up fanno dagli anni ’80, o che John Oswald e Frank Zappa hanno fatto ancora prima con il plunderphonics e la xenocronia. Ti sogneresti mai di dire che la produzione di J Dilla è poco autentica perché utilizzava samples? A me sembra un discorso senza senso. In un mondo dove il brano “Clint Eastwood” dei Gorillaz è in realtà un preset di una tastiera Suzuki Omnichord OM-300, a quanto pare, il problema dell’autenticità è l’IA.
Come se non bastasse, c’è questa idea comune secondo cui usare l’IA sia facile. Lo è se ti fai andare bene quello che ti esce al primo tentativo. Al contrario può diventare costoso, di certo non quanto costi oggi una produzione in studio, ma non credo si possa già parlare di “strumento democratico”. Potrei stare qui a parlarti per ore di tutti i problemi legati al fare musica con IA, ma ti dico solo che ogni volta che generi qualcosa, questo ha un costo e puoi star sicuro che l’80% delle volte è roba da buttare. Io il mio strumento, purtroppo, lo devo pagare ogni volta che lo uso e non ho la fortuna di quelli che mi vengono a fare la paternale dopo che si sono scaricati Ableton Live appezzottato. Non fraintendermi, se potessi usare il pezzotto lo farei volentieri.
Per farti un paragone, immagina di dover pagare 10 centesimi ogni volta che soltanto provi a suonare una strofa con la chitarra. A volte ci spendi giorni per farlo uscire come vuoi e, come accade in molti casi, solo alla fine ti rendi conto che fa schifo e devi ricominciare da capo. È un processo a volte lungo e snervante, come è sempre stato negli ambiti creativi e l’IA non elimina questo problema. Anzi, a volte è anche peggio, perché non hai sempre modo di modificare le cose per come meglio credi.
Tutto ciò per dirti che non sono io a dover dimostrare di essere autentico. Faccio canzoni con IA e lo dichiaro apertamente, la gente se le ascolta, ride e si dimentica per due minuti che anche oggi lo stipendio gli arriva domani.
Non devo dimostrare nulla, al massimo sono i musicisti autentici, i veri artisti, se proprio ci tengono, a dover dimostrare adesso che ciò che fanno l’hanno davvero realizzato loro, di loro intelletto e non grazie al suggerimento di un’IA. E non parlo dell’esecuzione, ma della composizione del brano. Non so come intendano farlo e in tutta franchezza mi interessa ben poco. In più di un’occasione mi è stato proposto di fare un live con musicisti “veri” che mi avrebbero accompagnato sul palco suonando le mie canzoni. In pratica hanno chiesto alle Brigate Morte di fare una cover band delle Brigate Morte. Mi sono sempre rifiutato di fare questa cosa perché per me è un progetto di Intelligenza Artificiale e come tale deve rimanere. Se va portato avanti un certo tipo di discorso non puoi minarne le fondamenta all’improvviso.
Mi interessa ben poco far parte di questa o quella scena, perché posso dire con serenità d’animo che quello che faccio è roba mia, anche se oggi non ha una precisa collocazione. Però in compenso so fare il giro di Do alla chitarra, magari trovo qualcuno che mi paga per fare quello tutta la serata, tanto ci chiudi almeno un migliaio di pezzi.
Qual è la canzone di cui andate più fieri?
Dire che ne andiamo fieri è un po’ esagerato, io di solito quando faccio sentire i brani che scrivo mi metto un po’ scuorno. Devo conoscerla davvero bene una persona e sentirmi a mio agio per farle ascoltare quello che faccio e contemporaneamente averla davanti. Di certo posso dirti che “Pastena” (qui, n.d.r.) ci ha dato tante soddisfazioni, in fin dei conti rappresenta per noi il momento in cui abbiamo visto funzionare per la prima volta ciò che avevamo in mente. Personalmente sono molto legato a “Rota Toria” (ascoltala qui, n.d.r.), ma lì non c’entra la fierezza, è più una questione affettiva (e in molti se ne sono accorti).
C’è poi un’altra canzone che parla di una questione a me molto cara, forse è quello il brano di cui vado più fiero, ma non so se vedrà mai la luce del sole.
“Cuoppo di mare” e “Zucculelle”: raccontateci la nascita di questi due feat.
Dopo l’uscita del primo disco, ad Aprile iniziai a ragionare su quello successivo. Sapevo sarebbe dovuto essere qualcosa su Salerno ma, man mano che ci ragionavo, mi rendevo conto che mancava qualcosa. Così ne parlai con i ragazzi e decidemmo di provare a inserire due feat. L’idea di base era molto semplice: un brano sarebbe stato generato con l’intelligenza artificiale aggiungendo successivamente la voce di un essere umano (“Zucculelle”, play), e il secondo invece sarebbe stata una base musicale creata ad hoc da un altro musicista e modificata tramite l’Intelligenza Artificiale (“Cuoppo di Mare”, play). Insomma due tipi di approccio che volevano andare a testare l’interazione tra l’IA e l’essere umano, ma sotto due punti di vista diversi e opposti.
Verso Maggio entro in contatto attraverso la pagina Instagram con Sandro (@campionocose). Sandro è di Salerno, ma da tempo oramai vive e lavora a Marsiglia. Iniziammo a parlare e gli proposi questa collaborazione: «Appena torni a Salerno per l’estate mi avvisi e ci conosciamo, così ne parliamo di persona». Lui felicissimo accetta, pensando di ritrovarsi davanti chissà chi. La cosa mi divertiva molto, perché Sandro non sapeva affatto chi fossi, ma in verità io e lui ci conosciamo da molto tempo. Continuai con questa scenetta per mesi e ad Agosto gli diedi appuntamento ad un bar.
Feci finta di essere lì di passaggio: «Uè Sandro! Come stai? Ma tu nu stiv ‘a Spagna?». «Eh no…» mi dice «…veramente a Marsiglia». Io gli propongo così di prenderci un caffè ma lui risponde che purtroppo non può, perché deve vedersi con un amico. Non demordo: «E qual è il problema, glielo pago pure a lui il caffè!» Sandro inizia a sudare, perché lui questa persona deve incontrarla da solo e non sa più come spiegarmi che me ne devo andare via.
Ad un certo punto l’ho visto troppo in difficoltà e mi è dispiaciuto: «Sandro ti posso assicurare che oggi, il caffè, solo con me te lo devi prendere a questo bar». In quel momento gli andò in crash il cervello e una volta realizzata la situazione lo vidi spalancare gli occhi. La cosa che amo di “Cuoppo di Mare” è il fatto che sia letteralmente composta con i rumori di un cuoppo di calamari. Per lui registrai vari suoni da campionare (calamaro, frittura, il cuoppo che viene riempito, ecc.) e Sandro ha fatto la magia di mettere tutto ciò assieme, dopodiché la utilizzammo per farci cantare l’IA.
“Zucculelle” invece è nato da questa fissa che avevo in mente da tempo di voler fare un pezzo rap. Una sera poi andai a sentire un live di Tonico70 e Morfuco e tra i ragazzi che aprivano il concerto, vidi ‘sto tizio che sembrava un b-boy uscito fuori da un videoclip dei D12. Mi incuriosì soprattutto il suo tono di voce, così il giorno dopo mi andai ad ascoltare la roba sua e mi piacque.
Scrissi a Diablo tramite la pagina e iniziammo a parlare. Volevo capire bene chi mi trovavo davanti prima di espormi, ma quando capii che era entusiasta quanto me nel fare questa cosa decisi di incontrarlo e alla fine ci siamo conosciuti sotto al palco dell’Overline. Tieni in considerazione che “Zucculelle”, al di là del tema, è stato per noi un esperimento molto rischioso (almeno così l’ho personalmente avvertito), perché ci siamo comunque esposti in una scena ben definita, con una sua storia ben chiara e l’abbiamo fatto con un progetto di IA.
Alla fine è andata bene e siamo anche venuti a sapere che gente che stimiamo molto ha saputo apprezzare la cosa. Possiamo ritenerci più che soddisfatti.
Volete espandervi oltre il salernitano? In quel caso, quale sarebbe il vostro obiettivo?
PALAZZO CHIGI.
Scherzi a parte, una buona fetta del nostro pubblico si trova già al di fuori dei confini salernitani. A quanto pare le scemità piacciono a tutti. Ovvio è che mi piacerebbe portare una cosa come lo “SFACCIMMA fest” anche fuori, ma non di certo al costo di snaturare il progetto, perché il rischio che avverto è quello. Che posso dirti, staremo a vedere. Nel frattempo stiamo lavorando sulla nostra città e abbiamo un po’ di cose in mente, ma non voglio dire nulla perché poi la gente ci mette gli occhi in cuollo.
Pes(ep)esce, perché sì
L’album delle Brigate Morte non è solo un tributo alla città di Salerno, ma è una raccolta di vita quotidiana raccontata con diverse sfumature musicali. Ogni brano è un piccolo inno ironico e goliardico (non per questo meno veritiero). La scelta dell’accompagnamento musicale non è mai banale. Anzi, sottolinea ancor di più il significato e il messaggio di ogni canzone.
L’album spazia dal rock al rap, dal metal all’indiepop. Sotto il passamontagna fuxia c’è una conoscenza musicale non indifferente che sorregge in maniera egregia l’utilizzo dell’intelligenza artificiale.
Quest’articolo non vuole sottrarre l’attenzione alle parole di Johnny Scuorno, né tantomeno essere una review brano per brano. In queste poche righe voglio sottolineare come il duro lavoro debba meritare almeno un ascolto.
A questo link troverai l’album completo da ascoltare. Le preferite del sottoscritto sono (in ordine sparso): Meveza, Zucculelle, Chiavamm’ e l’incredibilmente azzeccatissima Sala Abbagnano (e qui solo i salernitani potranno capire il perché).
Ringrazio di cuore le Brigate Morte (seguiteli su Instagram) per il tempo che hanno concesso a me e a Pennadicorvo. Ti lascio con una massima della buon’anima della nonna delle Brigate Morte, che mi sento di condividere a pieno.
Non bere troppo che poi ti appiccichi coi compagni.