
A Working Man, diretto da David Ayer (regista specializzato in film d’azione), segna la seconda collaborazione con Jason Statham. Stavolta l’attore interpreta Levon Cade, ex commando dei Royal Marines che ha lasciato la carriera militare per fare l’operaio edile e cercare di essere un buon padre. Ma quando Jenny Garcia (Arianna Rivas), la figlia dei suoi datori di lavoro, viene rapita da una rete di trafficanti di esseri umani, Levon è costretto a tornare in azione.

Se volete un film sparatutto avrete pane per i vostri denti!
Quando si decide di guardare un film come A Working Man, si sa già cosa aspettarsi. E lo spettatore vuole esattamente quello: muscoli, botte, ammazzamenti vari, l’eroe che se ne stava tranquillo e viene trascinato di nuovo nel caos, esplosioni e così via.
Se mancasse tutto questo, partirebbero i fischi. E, diciamocelo, giustamente! È tutto così prevedibile che l’80% di quello che leggete qui si potrebbe scrivere prima ancora della visione. Basterebbe poi aggiustarlo a posteriori.
Non si può approcciare un film del genere con la puzza sotto il naso. Non si può fare i cinefili stavolta. Sarebbe intellettualmente disonesto e significherebbe non capire il senso di queste produzioni. Ogni anno serve un certo numero di pellicole che attragga un pubblico ben definito. E quel pubblico sa esattamente cosa vuole. Se volesse qualcosa di diverso, avrebbe solo l’imbarazzo della scelta.
E allora sì, lasciamoci trascinare da Jason “Giacomone” Statham. Non sarà un maestro di espressioni facciali, ma a suon di calci, pugni, uccisioni più o meno spettacolari e una buona dose di ironia, sa sempre farsi valere.
È ormai prigioniero del personaggio “sono uscito dal giro, ma ci rientro incazz*to come non mai”. E sì, fa sempre lo stesso film… ma è proprio questo che piace! In buona compagnia, tra l’altro: Jean-Claude Van Damme, Steven Seagal, e anche Liam Neeson o Keanu Reeves, spesso costretti (o attratti?) da questo tipo di pellicole. Il mercato chiama.
Il fascino del trash o del “cinema di menare”
Chiamiamolo come vogliamo: trash, americanata, action movie duro e puro. Sono quei film dove dici “ma che c*zzata è?” oppure “ma questo è impossibile!”. Il protagonista sfida leggi della fisica, della medicina e del buon senso. Gli sparano 800.000 volte, non lo colpiscono mai. Lui, invece, ogni colpo un morto.
Eppure, ti diverti. Ti appassioni. Il protagonista è simpatico, mena forte e fa giustizia. Sotto sotto, ognuno di noi ogni tanto vorrebbe saccagnare qualcuno: al lavoro, nel traffico, allo stadio… Ma resistiamo per principio, e per evitare di finire in galera, in ospedale, o – peggio – col cappotto di legno.
Hollywood queste cose le sa fare bene.
Effetti speciali giusti, location azzeccate, ritmo che funziona. E anche se la trama è improbabile, risulta comunque credibile.
Ora, provate a immaginare un film simile girato in Italia. Vi pare credibile un Cicalone con i suoi “boys della Scuola di Botte” che ripristina l’ordine tra Tor Bella Monaca e Villa Gordiani? Forse solo Gabriele Mainetti potrebbe riuscirci.

Due parole sul film (attenzione spoiler… ma tanto sapete già come andrà a finire!)
A Working Man poteva benissimo intitolarsi Working Class Hero, omaggiando John Lennon e il suo inno operaio del 1970. Dalla locandina si capisce tutto: Statham ha lo sguardo da duro, un fucile in una mano e un martello nell’altra – è pur sempre un operaio!
Il nostro Giacomone è un ex marine britannico (ma l’accento inglese non si sente: biascica e basta), oggi operaio a Chicago. Vive in auto, si nutre di caffè solubile, non sa cucinare e si sente metà inglese, metà americano (con chiara preferenza per la seconda). La figlia è cresciuta senza madre – morta suicida mentre lui era in missione – e ora rischia di essere affidata al nonno.
Cliché su cliché? Sì, e ne vogliamo altri!
C’è anche l’amico cieco che tira con l’arco come Occhio di Falco. Ha una stanza piena di armi, una vera “stanza del piacere” – e qui Dio benedica l’America. Dopo cinque minuti di film, Statham pesta già dei tizi usando sacchi di cemento. Capito l’andazzo?
Il cuore della trama è semplice: deve salvare la figlia del capo, rapita dalla mafia russa e destinata a una tratta. Lui parte in missione e, uno a uno, fa fuori tutti. Nessuna sorpresa.
C’è tempo solo per una battuta finale con la figlioletta che chiede: “Come ti sei tagliato?”. E lui: “Radendomi!”. E certo, se lo dice lui…
Conclusione: armatevi (di popcorn) e andatelo a vedere.
