Il film scritto e diretto da Jesse Eisenberg arriva nelle sale il 27 febbraio. È candidato agli Oscar per la migliore sceneggiatura originale a Jesse Eisenberg e per il miglior attore non protagonista a Kieran Culkin.
Due cugini partono per un viaggio in Polonia, alla scoperta dei luoghi d’infanzia della loro nonna, scomparsa da poco. David (Jesse Eisenberg) e Benji (Kieran Culkin) sono legati dal ricordo della loro adolescenza passata insieme ma, come spesso accade, crescendo hanno preso strade diverse: David ha messo su famiglia e lavora a New York, realizzando inserzioni pubblicitarie, mentre Benji vive alla giornata in un sobborgo della Grande Mela, facendo i conti con la depressione.
Un road movie atipico
Un viaggio insieme potrebbe giovare all’umore di Benji, all’insegna dei vecchi tempi, quando i due passavano la notte vagabondando per le strade di New York per rimanere svegli fino all’alba, anche se il programma non sembra essere all’insegna del divertimento: si tratta infatti – nelle parole di Benji – di un “tour geriatrico” nei luoghi dell’Olocausto. Ma proprio un road movie, nella sua versione meno avventurosa, è l’espediente giusto per permettere a A Real Pain di svolgere il suo lavoro di introspezione psicologica, di character study, sui suoi protagonisti, in particolare Benji, che è il fulcro dell’attenzione. Il ragazzo, infatti, ha la capacità di catalizzare l’attenzione di chi lo circonda con la sua schiettezza e il suo modo di esprimere le emozioni senza mezzi termini, senza sentirsi in dovere di mascherarle per rispondere alle convenzioni sociali.
Un momento significativo, forse uno dei più belli del film, è quello in cui Benji rifiuta di viaggiare in prima classe sul treno che porta il gruppo alla scoperta dei luoghi della Shoah, perché non si può essere sempre felici e, cioè, distacati dalla realtà. Allo stesso modo, chiede alla guida di mettere da parte gli aneddoti storici nel momento in cui stanno visitando un cimitero, per rendere omaggio a chi ha perso la vita e connettersi davvero con la tristezza e il dolore di quell’esperienza. La psicologia di Benji si delinea chiaramente in queste occasioni, e permette di capire come questi viva le emozioni in modo totalizzante, con un’intensità che, però, può rivelarsi annichilente.
Benji attraverso lo sguardo di David
Se Benji è il centro dell’attenzione, lo sguardo di A Real Pain è quello di David, diametralmente opposto rispetto al cugino. Il rapporto tra i due ricorda un po’ il legame che unisce Carmy al fratello nella serie The Bear, in cui il protagonista affronta le conseguenze del suicidio del fratello, che aveva sempre visto come attraente, carismatico e sicuro di sé. Nervoso, ansioso, attento a non fare brutte figure, David è però un uomo realizzato dal punto di vista personale e professionale, e, per quanto soffra per la condizione in cui versa Benji, non riesce ad empatizzare del tutto con lui, perché – come gli dice in un dialogo – non capisce come faccia a non accorgersi di quanto sia fortunato ad avere delle doti naturali che invece lui darebbe qualsiasi cosa per avere. David, infatti, è il ragazzo che passa inosservato, che vive all’ombra di suo cugino, che, ai suoi occhi, pecca anche di egoismo, perché non riesce ad apprezzare quello che ha e si concentra solo sulle sue difficoltà, quando tutti si trovano a doverle affrontare. David non riesce a provare l’empatia che invece Benji prova, che gli permette di stabilire una connessione e una sintonia profonda con le persone con cui entra in contatto, in grado di lasciare il segno, ma che, allo stesso tempo, è un’arma a doppio taglio gli rende la vità più difficile.
La leggerezza come cifra stilistica
A Real Pain, nonostante il titolo, tratteggia con mano leggera le emozioni dei protagonisti, che vengono espresse in modo da non raggiungere mai picchi emozionali o momenti di tensione o climax, ma mettono in luce passo dopo passo nuovi aspetti della personalità di David e Benji, portandoli a un confronto graduale, mai a uno scontro o a uno sfogo liberatorio, e neppure a un vero litigio. Le loro diversità sono evidenti fin dall’inizio, ma durante il viaggio emergono in modo più approfondito, dando spazio alle emozioni dell’uno e dell’altro. La leggerezza si traduce anche nella scelta del regista di non calcare troppo la mano né sui momenti comici né su quelli drammatici, mantenendosi sempre su un tono leggero, da commedia, che segue il ritmo del viaggio, che, tra alti e bassi, mantiene però un andamento costante, che non va mai incontro a punti di svolta drammatici.
Conclusioni
A Real Pain avrebbe forse potuto comunicare meglio il dolore che Benji si porta dentro, non necessariamente attraverso le parole, in modo che anche chi guarda riuscisse a sentirlo, anche solo attraverso lo schermo, a capire quello che si prova; invece il film si stabilizza su un punto di vista esterno, proprio come quello di David, che ciò che prova Benji non riesce del tutto a capirlo. Così le parole accarezzano, le reazioni provocano un misto di apprensione e di simpatia, fanno sorridere e sì, anche riflettere, suscitano un sorriso più che una lacrima (anche di fronte a quelle di Benji). È una scelta stilistica voluta, probabilmente, quella di non immergersi troppo a fondo nei suoi sentimenti, e di lasciarci con un misto di curiosità e di speranza, ribadendo quello che anche Benji dice: siamo così abituati al nostro privilegio che il dolore degli altri non riusciamo mai a sentirlo veramente.