
Cosa succede quando ottieni esattamente ciò che desideravi, ma finisci per perdere te stesso? A Different Man, il nuovo film diretto da Aaron Schimberg con protagonista Sebastian Stan, è un thriller psicologico che esplora i temi dell’identità, della trasformazione e della percezione sociale. Tra inquietudine e ironia, il film sfida lo spettatore con una storia sorprendente e piena di ambiguità. Vale davvero la pena cambiare per essere accettati? Scopriamo insieme cosa rende A Different Man un’opera così affascinante e disturbante.
Non possiamo introdurre questo film senza accennare alla neurofibromatosi di tipo 1 che è una malattia genetica autosomica dominante: senza dilungarci troppo sugli aspetti medici, vi basti sapere che tra gli effetti collaterali di questa patologia vi è la comparsa nei casi più gravi di numerose protuberanze di varie dimensioni sulla pelle di una persona, che portano anche ad una deformazione del viso tale da rendere la persona “mostruosa” e repellente.
Di tale malattia soffre il protagonista del film, Edward, interpretato da Sebastian Stan, che grazie a parte si è aggiudicato l’Orso d’argento per la miglior interpretazione ed è ormai un astro nascente del cinema americano (è infatti anche il giovane Donald Trump nel film The Apprentice – Alle origini di Trump, per il quale ha ricevuto una candidatura al Golden Globe per il miglior attore in un film drammatico e al BAFTA al miglior attore protagonista, nonché una candidatura come miglior attore ai Premi Oscar 2025). Ma di neurofibromatosi di tipo 1 soffre invece veramente Adam Pearson, altro interprete di questo lungometraggio particolare e meritevole di visione.
Un breve accenno alla trama (con alcuni spoiler): il destino beffardo di un uomo che pur trovando la bellezza perde tutto il resto!
Il film come detto ha come protagonista Edward, che nonostante sia affetto da neurofibromatosi di tipo 1 cerca a fatica di diventare attore. Il suo volto sfigurato rende la sua vita triste e solitaria. Ad aggravare tale situazione è anche il fatto che la sua la malattia lo rende timido, insicuro (soprattutto con l’altro sesso), dimesso e poco vitale. Non lo aiuta nemmeno l’appartamento dove vive, parecchio vissuto, ed incastonato in un condominio rumoroso, affollato, fatiscente. Oltre a questo capiamo fin dall’inizio che lui non ha nemmeno troppo talento nella recitazione.
Un giorno arriva una nuova vicina di casa, Ingrid, molto attraente e che è anche una drammaturga: tra i due potrebbe scoccare l’amore anche perché lei non sembra infastidita dal suo aspetto. Tuttavia Edward pensando di non piacerle, decide di sottoporsi ad una cura sperimentale che lo fa guarire e gli dona un viso piacente. Edward decide però di far “morire” la sua identità, cambia nome in Guy, diventa un agente immobiliare di successo e finalmente ha una bella casa e tutte le donne che vuole.
Un mattina tuttavia re-incontra Ingrid, che ignora totalmente chi sia, la quale ha scritto una commedia sul “vecchio” Edward, e che scrittura proprio Edward/Guy per la parte da protagonista, oltre ad andarci a letto. Insomma, per il nuovo Edward sembra tutto perfetto ora, ma il destino, cinico e beffardo, presenta al protagonista il conto (da qui SPOILER…attenzione!). Durante le prove dello spettacolo infatti sopraggiunge Oswald, interpretato da Adam Pearson, il quale come detto è veramente affetto da neurofibromatosi di tipo 1 e dunque può recitare senza trucco (con vantaggi economici per la povera produzione teatrale).
In poche settimane Oswald, che è brillante, carismatico, furbo, e fintamente amicone di Edward/Guy, “ruba” letteralmente la vita a quest’ultimo. Prima gli sottrae la parte da protagonista, poi il cuore di Ingrid, arrivando con Lei al successo mentre Edward/Guy letteralmente impazzisce per la situazione fino a commettere un delitto di rabbia ed andare in carcere.

L’analisi dei personaggi: nessuno è perfetto!
Se volessimo sintetizzare il messaggio che il regista Aaron Schimberg vorrebbe indicarci potrebbe essere il fatto che dobbiamo necessariamente accettarci, anche con i nostri difetti, ma soprattutto che tutti noi indossiamo una maschera, “perenne” o per diversi momenti e situazioni della nostra vita.
Non abbiamo deformità solo fisiche ma anche soprattutto interiori. Il tema di non accettare se stessi ed in particolare il nostro aspetto esteriore non fa solo parte appieno delle nostre vite (chi non va in palestra o almeno cerca di vestirsi decentemente?), ma è ormai sempre più utilizzato anche nel cinema. Nel 2024 ha avuto grande successo (non troppo meritato ci sia consentito!) The Substance, e come in tale film, il nostro Edward è convinto, in cuor suo, che con un aspetto più normale avrebbe più chance: con il lavoro, nella vita privata, con gli amici. E, proprio come la Elizabeth Sparkle di The Substance, decide di ricorrere a tecniche all’avanguardia nel tentativo di migliorare il proprio aspetto: anziché con iniezioni e fialette con una cura sperimentale.
In molte recensioni potete leggere che Edward celerebbe in realtà una persona internamente “non bella”, e tale bruttezza interiore verrebbe fuori nel momento in cui il protagonista ottiene un aspetto attraente. Il film come detto vuole farci capire che dovremmo necessariamente accettarci, ma il fatto di aver voluto estremizzare il concetto attraverso un uomo con un volto effettivamente sgradevole rende difficile accettare un tale messaggio.
Come possiamo infatti biasimare Edward per voler essere una persona con una faccia “normale”? E soprattutto come possiamo condannarlo se dopo tale trasformazione si prende le sue giuste soddisfazioni fatte di soldi, una bella casa e tanto sesso (anche orale in squallidi bagni di locali notturni) con perfette sconosciute?

La vera colpa di Edward è forse quella di rincorrere il passato, di non riuscire a gettarsi alle spalle le sue vecchie aspirazioni, ovvero fare l’attore e stare insieme ad Ingrid. Il voler ripercorrere la vita che aveva prima di cambiare faccia lo condanna a perdere tutto.
Il tema delle maschere, l’ancestrale fiaba de La bella e la bestia che contrappone l’aspetto interiore all’immagine esteriore e una punta thriller alla Dr Jekyll e Mr Hyde, sono i fili su cui Schimberg si muove in un continuo, spiazzante ribaltamento di prospettive narrative che induce a chiedersi chi siano davvero i personaggi del film e quanto il loro aspetto li definisca per ciò che sono.
Perché se di Edward abbiamo parlato, meritano anche un’ analisi i due comprimari del film. Oswald infatti, nonostante la sua (vera) deformità è estroverso, esuberante, creativo, con una vita piena e appagante, così allegro e genuinamente amichevole nei confronti di Edward/Guy che pure a noi la sua bonarietà comincia presto a dare sui nervi (anche a causa dell’accento inglese che trasuda spocchia).
Come detto è brillante, apprezzato dalle persone, eclettico, pieno di ambizione. Un personaggio che ha una sua backstory del tutto “normale”: un’ex moglie con la quale è rimasto in ottimi rapporti e una figlia, una vita piena, passioni e talenti che non manca di enunciare orgogliosamente.
Oswald è un inno all’amore per sé stessi, mentre Edward è una persona ombrosa, quello che nel film viene ripetutamente definito, in lingua originale, “nervous Nellie”: un timidone.
Osward sembra dunque un personaggio positivo, ma in un epilogo devastante, Edward, finalmente senile, uscito di galera, incontra Ingrid e Oswald. Oswald chiama Edward con il suo vero nome – Edward, appunto – come a far intendere che era sempre stato al corrente del suo inganno, della sua maschera (tuttavia sua vera identità). Volutamente bullizzato, denigrato, offeso, dunque, da colui che dovrebbe, per la legge della bellezza spettacolare, essere accantonato e compatito, si trasforma in angelo sterminatore e punisce la spocchia di Edward che non ha saputo cogliere la bellezza della sua essenza.

C’è poi Ingrid, interpretato da Renate Reinsve, che è il personaggio più negativo del film. La sua bellezza, la sua apparente innocenza, e soprattutto il fatto che non ha alcun pietismo nei confronti di Edward ci fa pensare che sia un angelo sceso in terra per salvare il pover’uomo deforme.
In realtà, la cara Ingrid rivelerà nella seconda parte del film la sua vera anima, tutt’altro che “bella” e limpida. Infatti capiamo con il passare delle scene che si è appropriata della storia di Edward, sfruttandola a proprio vantaggio, e quando incontra Edward/Guy in maniera del tutto non professionale, dopo avergli offerto la parte, ci va a letto ammonendolo però che sostanzialmente porta rovina.
E così sarà perché quando comparirà Oswald non ci metterà molto a scaricare Edward/Guy ed a mettere su famiglia con il “vero” deforme. In ciò la trama ci fa dire che tutto sommato si tratta di “un film”, perché nella realtà risulta effettivamente difficile che si possa scegliere un essere difficile perfino da guardare piuttosto che un belloccio come il protagonista dopo la trasformazione.
Sarebbe meraviglioso infatti che in questo mondo, sempre più sedotto dalla volubilità, dal materialismo, dall’ostentazione, si possa ancora andare oltre le apparenze e giudicare ed apprezzare una persona per ciò che è e non per ciò che appare. Ingrid inoltre va contro un principio etico che inizialmente afferma, ovvero che non vorrebbe utilizzare una persona effettivamente deforme per fargli interpretare un personaggio sfigurato.
Si cita dunque il dilemma se per interpretare un personaggio con una specificità fisica o caratteriale così distinta, è giusto ricorrere a maschere e trucco? Oppure al contrario l’approccio che vuole sempre l’interprete perfettamente sovrapponibile al personaggio per vissuto e qualità tarpa le ali alle possibilità interpretative?
Qui Schimberg, di proposito o meno, ammicca ironicamente all’ipocrisia del “gender/color-blind casting” che sta cambiando, non sempre in meglio, il “volto”, appunto della cinematografia mondiale. Per non parlare dell’impostura che vede gli studios estremizzare il metodo stanislavskiano, forzando ruoli con caratteristiche tipiche solo ad attori con tali caratteristiche (ne sa qualcosa Bradley Cooper, criticato per aver indossato un naso prostetico troppo “semita” in Maestro)
Le diverse sfaccettature del film.
Il tema delle maschere, rappresentato dal “nuovo” Edward che per recitare la parte di se stesso indossa inizialmente la maschera del suo precedente volto donatagli dallo staff medico, è l’ancestrale fiaba de La bella e la bestia che contrappone l’aspetto interiore all’immagine esteriore e una punta thriller alla Dr Jekyll e Mr Hyde, sono i fili su cui Schimberg si muove in un continuo, spiazzante ribaltamento di prospettive narrative che induce a chiedersi chi siano davvero i personaggi del film e quanto il loro aspetto li definisca per ciò che sono.
Il bello e il brutto, il buono e il cattivo, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato: in A Different Man sono concetti che acquisiscono continuamente sfumature diverse e sottili in rappresentazioni che, più che chiarire, sembrano voler confondere per restituire, attraverso un racconto del tutto surreale, tutta l’assurdità del reale e l’assenza di strumenti per poterlo comprendere.
A Different Man è un gioco di specchi in cui i piani si confondono con gusto.

Sullo sfondo del film poi c’è Manhattan, e seppur non vengano mai inquadrati monumenti e luoghi iconici, lo spettatore capisce benissimo che la storia è ambientata nella Grande Mela, fin dalla prima scena, avvolta nella musica del compositore Umberto Smerilli, che ricorda (e cita) la cinematografia dell’immenso Woody Allen, il quale è omaggiato anche dalla camminata e dall’abbigliamento del primo Edward.
Quanto ad altre citazioni, non possiamo non rammentare The Elephant Man, però in questo caso la deformità sembra non essere accettata solo da Edward stesso. Il film poi devia su tinture cronenberghiane mentre, giorno dopo giorno, la faccia di Edward si liquefa, gocciolando brandelli di carne e sangue.
Con lui cambia anche il suo appartamento. Una perdita dal soffitto, appena accennata all’inizio della vicenda, diventa una voragine che cola mostruosità… come fosse il ritratto di Dorian Gray che si appropria di quelle squame che si dissolvono dalla faccia di Edward. Egli si isola, vive questa sua metamorfosi strappandosi di dosso la carne morta che rivela un volto non solo “normale”, ma accattivante come già detto.
Qui la vicenda si stratifica ulteriormente. Irriconoscibile, prende la palla al balzo per scomparire, per crearsi un’altra vita, non per migliorare la sua (che si renderà, conto solo dopo, essere perfetta). Nella più consapevole riflessione pirandelliana – dal mascheramento di Pascal alle epifanie di Vitangelo Moscarda – il nostro mette in atto dinamiche conturbanti e alquanto inquietanti. Perché Edward infatti finisce col vivere due vite; di giorno è ancora il bellissimo agente immobiliare, di sera l’orrendo e maldestro personaggio della commedia.
Infine Frank Kafka e le sue metamorfosi, rappresentate non solo dallo squallido appartamento di Edward ma anche da un bacarozzo che trova mentre beve una tazza di caffè nel suo nuovo e lussuoso appartamento.
In conclusione se volessimo trovare dei difetti, certamente possiamo annoverare una trama di per sé assurda soprattutto nel suo epilogo. Tuttavia tale assurdità è congeniale alla discesa verso la pazzia del nuovo Edward. Egli urla che nessuno meglio di lui può interpretare sé stesso. Ma purtroppo sulla sua strada il destino ha messo qualcuno più simile al suo vecchio lui e nei nuovi panni del “bello” non può che scimmiottare se stesso finendo per non essere credibile.