Abbiamo visto in anteprima “A Complete Unknown”, biopic su Bob Dylan con Timothée Chalamet. Il film uscirà nelle sale italiane il prossimo 23 gennaio.

A Complete Unknown, diretto da James Mangold (Walk The Line, Ford v. Ferrari), è sicuramente uno dei film più attesi dell’anno: il biopic su Bob Dylan porta per la prima volta sul grande schermo la vita di uno dei musicisti più famosi di sempre, vincitore del premio Nobel per la Letteratura, diventato un’icona nella cultura popolare grazie al suo impegno civile e al suo stile anticonformista e ribelle, sempre schivo davanti ai riflettori.
La trama
Il film non copre l’intera vita di Dylan ma decide di concentrarsi su un arco di tempo preciso, che va dagli esordi nel 1961 fino all’incisione di quella che forse è la sua canzone più famosa, “Like a Rolling Stone”. Dylan, interpretato da un Timothée Chalamet (Chiamami col tuo Nome, Dune) sempre convincente nel ruolo, arriva a New York con una chitarra in spalla e poco più: un complete unknown, come recita il titolo, un completo sconosciuto, del cui passato poco sappiamo e poco sapremo nel corso del film.
Il giovane cantautore originario del Minnesota arriva nella Grande Mela con un obiettivo ben preciso in mente: incontrare il suo mito, il musicista folk Woody Guthrie, che, colpito da una grave malattia, è ricoverato in ospedale. Qui il ventenne Dylan incontra Pete Seeger (Edward Norton), anche lui musicista e attivista politico, che, rimasto colpito dal suo talento, lo aiuta a farsi conoscere dal pubblico e dalle etichette discografiche.

Una narrazione piana e lineare
Da questo momento in poi la strada verso il successo è tutta in discesa, o almeno è così che viene rappresentata: A Complete Unknown sceglie una narrazione piana e lineare del percorso di Dylan, mantenendo un ritmo scorrevole e cercando un equilibrio tra la rappresentazione del suo percorso artistico e musicale e della sua vita privata. D’altra parte, Mangold (già autore del biopic su Johnny Cash, Walk the Line) non usa una lente introspettiva per rappresentare il suo protagonista ma, al contrario, dipinge gli eventi da un punto di vista esterno, mantenendo inalterata l’aura di fascino e mistero che circonda Dylan. Gli eventi o le sue azioni non vengono mai veramente approfonditi, ma restituiti al pubblico come se si trattasse di un’elaborazione romanzata di interviste, dichiarazioni e esibizioni, senza filtrarle attraverso una lente più soggettiva.

Dylan goes electric
La musica svolge un ruolo preponderante all’interno del film: dalle esibizioni acustiche ai concerti, passando per le registrazioni, le canzoni che Dylan scrisse nei primi anni ’60 vengono reinterpretate e cantate in scena grazie a un un’ottima prova di Chalamet. D’altronde, il film è ispirato alla biografia “Dylan goes electric” di Elijah Wald, che si concentra sulla scelta di Dylan di abbandonare il folk più tradizionale per abbracciare sonorità più rock e vibranti.
La svolta di Dylan non corrisponde ad un vero arco di trasformazione del personaggio, che rimane sempre uguale a se stesso, ma è visibile su piano esteriore: ora indossa occhiali da sole scuri e guida una moto Triumph, elementi che, nell’immaginario collettivo, sono più assimilabili a una rock star che a un cantante folk, e il suo atteggiamento nei confronti dei fan e dei media viene mostrato come schivo e sfuggente.
Interessante è la scelta di dedicare un ruolo cruciale proprio all’esibizione al Newport Folk Festival del 1965, in cui l’esecuzione di “Like a Rolling Stone”, già fortemente osteggiata da Seeger e dagli altri organizzatori del festival, viene accolta da un tripudio di fischi e urla da parte del pubblico, che si sente tradito dalla scelta di Dylan di discostarsi dal folk puro. L’esibizione viene ricostruita integralmente, e il pezzo che dà il titolo al film viene restituito in modo tutt’altro che trionfale, con un’intensità sonora che sfiora il rumore acustico. Una scelta che sembra sottolineare, per contrasto, proprio la forza e la lungimiranza della svolta di Dylan, che gli ha guadagnato una fama mondiale.

Il rapporto con Joan Baez
Non manca ovviamente la vita privata, che è tutta incentrata su un triangolo amoroso composto da Dylan, la collega musicista Joan Baez (Monica Barbaro) e la fidanzata fittizia Sylvie Russo (Elle Fanning). Il film ricorre alla scelta convenzionale di rappresentare il protagonista maschile come un genio incostante e inafferrabile, diviso tra l’amore di due donne. L’unico sguardo soggettivo di tutto il film è quello velato di lacrime di Sylvie nelle ripetute volte in cui guarda Dylan e Baez cantare insieme, con evidente complicità; Baez, seppure rappresentata come una donna carismatica e indipendente, non regge il confronto con Dylan (nonostante l’ottima interpretazione di Barbaro), anche in quanto musicista, tanto che quest’ultimo, in una scena, sottolinea come si noti troppo lo sforzo nella sua scrittura, al contrario del suo indolente talento naturale. I personaggi femminili risultano stereotipati e la sottotrama sentimentale costruita secondo una parabola ricorrente e già vista.
Considerazioni finali
Tutto concorre, quindi, a rafforzare l’immagine di Bob Dylan già radicata nell’immaginario collettivo, come quella di un personaggio controcorrente e sfuggente, che rifiuta qualsiasi etichetta e lascia quindi senza risposte molte domande sulla sua identità e il suo stile musicale. Lo dimostrano anche le parole di James Mangold, che durante la conferenza stampa italiana del film, ha affermato che non esiste una verità unica sulla figura di Bob Dylan, perché tutti riscriviamo e reinterpretiamo la nostra storia. Al contempo, l’interpretazione da parte di uno dei nuovi volti più amati di Hollywood aiuta a renderlo la figura di Dylan ancora più accattivante e a donargli nuovo fascino e leggerezza. Quello che è assente è proprio un lavoro di decostruzione e di analisi che vada a scavare sotto la superficie di quell’immagine per restituirne una visione particolare, soggettiva, di cui invece in A Complete Unknown si sente la mancanza.